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San Paolo in Alpe

inserita da Bruno Roba
Comune : Santa Sofia
Tipo : rudere
Altezza mt. : 1009
Coordinate WGS84: 43 52' 44" N , 11 47' 48" E
Toponimo nell'arco di
notizie :

Antico insediamento abbandonato, restano i ruderi della chiesa di Sant'Agostino ed il bel campanile a vela.
scheda approfondita su questo sito sezione Borghi dimenticati.

Nell'aprile 1944 fu scelto dal Comando del Gruppo brigate Romagna per effettuarvi gli aviolanci Alleati di armi, vestiario, denaro e viveri per i partigiani .
Il campo di lancio venne attaccato e conquistato dalle truppe tedesche che bruciarono la Chiesa e le abitazioni civili

Testo di Bruno Roba (27/10/2018 – 14/05/2024) - La Valle del Fiume Bidente di Campigna ad Est è delimitata da parte del contrafforte secondario che si distacca da Poggio Scali e che subito precipita ripidissimo disegnando la sella di Pian del Pero, serpeggiante evidenzia una sequenza di rilievi (i Poggi della Serra e Capannina, l’Altopiano di S.Paolo in Alpe, Poggio Squilla, Ronco dei Preti e Poggio Collina, per terminare con Poggio Castellina) fino a digradare presso il ponte sul Fiume Bidente di Corniolo a monte di Isola, costretto dalla confluenza del Fiume Bidente di Ridràcoli nel Fiume Bidente di Corniolo. Da Poggio Squilla si distacca una dorsale secondaria che, declinando a Nord, dopo il picco di Poggio Aguzzo precipita verso Corniolo con sproni puntati su Lago così completando la chiusura della valle. La sua testata si estende a ridosso delle maggiori quote dello Spartiacque Appenninico (quale parte della c.d. bastionata di Campigna-Mandrioli), caratterizzate dalle fortissime pendenze modellate dall’erosione, con formazione di profondi fossi e canaloni fortemente accidentati talvolta con roccia affiorante, come le Ripe di Scali, il Canale o Canalone del Pentolino, le Ripe della Porta e le Ripe di Pian Tombesi, oltre che con distacco dello spessore detritico superficiale, conseguente crollo dei banchi arenacei e lacerazione della copertura forestale.

In dx idrografica il Bidente riceve le acque provenienti dallo Spartiacque dei Fossi dell’Antenna, delle Bruciatedella Corbaia, della Ghiraia, della Ruota e del Fiumicino o di Ricopri, quindi il Fosso di Bagnatoio e il Fosso del Fiumicino di S.Paolo, anticamente detto Fosso il Pianaccione, uno dei maggiori affluenti del Bidente di Campigna, avente origine dalle pieghe tra i Poggi Ricopri e Capannina e il contrafforte, alimentato da un’ampia ramificazione idrografica avente origine dal contrafforte secondario compreso tra Poggio Capannina e l’Altopiano di S. Paolo in Alpe, ovvero i Fossi delle Fontanelle, dell’Alberaccia, del Perono o Perone e di Ristefani. Gli altri affluenti del tratto in dx idrografica sono i Fossi delle Farnie e di Campitelli. Le vene del Fiumicino di S.Paolo alimentano la Fonte del Rospo e la Fonte Miseria poste rispettivamente ai km 4+700 e 3+500 della Strada Vic.le Corniolino-S.Paolo in Alpe, la seconda presso un’Area Attrezzata.

La Valle del Fiumicino di S.Paolo sul versante orientale in gran parte è racchiusa dal tratto di contrafforte che delimita il bacino bidentino già descritto, che si sviluppa da Poggio Capannina fino a Poggio Aguzzo, da cui una breve diramazione bruscamente chiude la valle a settentrione puntando verso lo sbocco del fosso presso Moscoso. Sul versante occidentale la delimitazione è costituita dall’imponente dorsale di separazione dalla collaterale Valle del Fiumicino che si stacca da Poggio Capannina ed evidenzia Poggio Ricopri e Poggio di Montali (toponimo in uso nel XIX secolo), oltre il quale digrada verso Case Fiumari concludendosi con una ramificazione di costoni e sproni finali che obbligano il fiume a tortuose circonvoluzioni, quando punta verso il Bidente laddove il Fiumicino trova il suo sbocco sotto Moscoso, dopo essere passato sotto Ponte Cesare, con uno sviluppo di circa 4 km. Dal versante NO di Poggio di Montali ha origine il Fosso di Bagnatoio, dal modesto sviluppo di 750 m, chiuso in una strettissima vallecola che sbocca nel Bidente di fronte al Mulino di Fiumari e alla moderna Chiesa di S. Agostino, dove si trova una fonte.

Per l’inquadramento territoriale v. schede Valle del Bidente di Campigna, Fiume Bidente di Campigna e Fosso del Fiumicino di S. Paolo.

L’area e i crinali circostanti in passato erano interessati da stretti ed impervi percorsi utilizzati a scopo militare, per transiti commerciali e per le attività boschive. La prima cartografia storica, ovvero il dettagliato Catasto Toscano (1826-34 – scala 1:5000), la schematica Carta della Romagna Toscana Pontificia (1830-40 – scala 1:40.000), le prime edizioni della Carta d’Italia dell’I.G.M. (1893-94 – scala 1:50.000; 1937 – scala 1:25.000), da integrare per la classificazione storica del Bidente con le Bozze di mappe catastali della Foresta Casentinese e Campigna (1808-1830 – scala 1:5000) e la Carta Geometrica della Regia Foresta Casentinese (1850 – scala 1:20.000), consente di conoscere, tra l’altro, il tracciato della viabilità antica che riguardava la Valle di Campigna. Tra le altre, le c.d. vie dei legni, o Strade dette dei legni per il trasporto dei medesimi (così riportate nella Carta Geometrica) utilizzate per il trasporto del legname fino al Porto di Badia a Poppiena a Pratovecchio, attraverso i valichi appenninici tosco-romagnoli. Specificamente elencata nel contratto di vendita del 1857, con cui le foreste passarono dall’Opera del Duomo di Firenze alle Reali Possessioni, si trova la via che da Poggio Scali scende a Santa Sofia passando per S. Paolo in Alpe: «Una vastissima possessione la quale […]. E’ intersecato da molti burroni, fosse e vie ed quella che percorre il crine, dall’altra che conduce dal Casentino a Campigna e prosegue per Santa Sofia, dalla cosidetta Stradella, dalla via delle Strette, dalla gran via dei Legni, dalla , dalla via della Seghettina, dalla via della Bertesca e più altre.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 163-164, cit.). Già riportata nelle Bozze di mappa nel tratto alto come Strada del Poggio Scali e nel Catasto toscano Via di Scali è pure confermata tra le vie dei legni individuate all’inizio del XX secolo dal Direttore generale delle Foreste, al Ministero di Agricoltura, A. Sansone, nella relazione sullo stato delle foreste demaniali (cit.) come via del Poggio, che da S. Sofia, per S. Paolo in Alpe e Pian del Pero, sale a Poggio Scali

Oltre alla Via di Scali, strada di crinale che correva lungo il limite orientale della valle, la viabilità più antica interessante questo territorio, di origine preromana, percorreva il crinale insediativo di Corniolino; ben infrastrutturata e conservante ancora notevoli tratti di selciato naturale, seguendo la morfologia sopra descritta, superata la sella di Tre Faggi risaliva verso il Monte Gabrendo, giungendovi o dopo una più agevole deviazione dalle Mandracce o per via più diretta sfruttando le balze di Costa Poggio dei Ronchi e Omo Morto ed in ultimo insinuandosi verso Poggio Palaio per ridiscendere verso Campigna tramite la Via del Balzo o sul versante opposto verso Stia: si tratta dell’antica Stratam magistram, la strada maestra romagnola o Via Romagnola che iniziava a Galeata, l’antica Mevaniola. L’inizio del tratto alto-bidentino di questo antico tracciato è facilmente individuabile presso Lago (almeno nello sviluppo posteriore alla fine del XVII sec., successivo alla sopracitata rimodellazione post-lacustre). Tramite il Ponte di Fiordilino, struttura dalla poetica denominazione sul Bidente delle Celle ripresa dal nome di un adiacente fabbricato distrutto dalla frana (rimangono i resti dell’imposto dell’arco, con qualche concio inclinato di innesto, corrispondenti alla struttura del XV sec. ricordata dalla saggistica  - AA.VV., 1982, p. 188, cit. - posti a fianco del ponte moderno), la via antica si inerpicava subito sull’erta rocciosa in allineamento al ponte stesso, come documentato dal Catasto toscano, ma poi deviava fino a rasentare il Bidente quindi proseguiva a mezzacosta verso l’abitato di Corniolino, raggiungendolo presso la Chiesa/Hospitale di S. Maria delle Farnie. Evidenti resti della muratura di sostegno di questo tratto viario si notano poco sopra la provinciale, a 200 m dal ponte di Lago. Superato Corniolino, presso un tornante della S.P. a circa 2 km da Lago, si ritrova il tracciato antico (sent. 259 CAI) che si inerpica verso il Castellaccio poi prosegue sul crinale sfruttando le gradonate di estesi affioramenti rocciosi, dove sono evidenti le tipiche alternanze di arenarie e marne formanti cornicioni sporgenti fratturati a “denti di sega”.

Presso Corniolino si innestava il percorso di fondovalle da Corniolo Campigna che scendeva al Bidente (oggi intercettato dalla S.P. del Bidente a circa 500 m da Lago, dove è stato riutilizzato come accesso di un recente insediamento) superandolo grazie al Ponte dei Ladroni o del Ladrone o della Madonna, in muratura di pietrame ad arco a sesto ribassato, risalente al 1906 e sostituente quello precedente in legno (documentato fino dal ‘600 e cosiddetto a causa di un bandito noto come il ladrone che imperversava nella zona), che però si trovava circa 80 m più a monte, come risulta dal confronto con il Catasto toscano. Il ponte è stato segnalato dal Segretariato Regionale del Ministero della cultura dell’Emilia-Romagna nel portale https://www.tourer.it/. Dopo un breve tratto ancora integro e percorribile fino al moderno Ponte Ilario, datato 1969 e privo di interesse tipologico, la mulattiera procedeva in prossimità del fiume secondo un percorso diverso dalla strada forestale (iniziata negli anni 1966-67), che risale transitando poco sotto Campacci, oggi C.Campaccio. L’antico tracciato infatti giungeva fino al sito di un altro fabbricato che, benché anonimo, era evidentemente destinato a mulino già in base all’evidente rappresentazione di inizio ‘800 del lungo berignale o gora per il prelievo dell’acqua e del bottaccio di accumulo della stessa, confermata dalla simbologia (ruota dentata) dell’Opificio a forza idraulica della Carta d’Italia I.G.M. del 1894. Forse un tempo noto come  Mulino di Campacci, perse le sue funzioni originarie nella successiva mappa del 1937 è ormai rappresentato come semplice fabbricato. Oggi questa parte di tracciato è stata riutilizzata come strada di servizio per raggiungere le opere di imbrigliamento idraulico dei rami bidentini a favore dell’invaso di Ridràcoli e una moderna stazione di pompaggio ne occupa il sito. Oltrepassato Campacci, il tragitto antico prima attraversava il Fosso del Fiumicino di S. Paolo con una pedanca (ponte in legno pedonale documentato almeno dall'inizio del XX secolo), oggi sostituita dal Ponte Cesare, poi si inerpicava sul crinale rasentando Moscoso dal lato Est (praticamente dietro l’annesso posto accanto al suo attuale accesso stradale) e poco dopo, attraversato il sito oggi occupato della rotabile, calava di livello dirigendosi verso Fiumari (di sotto). Mentre la via principale proseguiva verso il Molino di Fiumari e Campigna, dove giungeva tramite la ripida Via di Villaneta (oggi sent. 243 CAI), almeno per tutto il XIX secolo solo un sentiero risaliva fino a Fiumari (di sopra) e, scavalcata la sella antistante, scendeva ad attraversare il Fiumicino. Solo al principio del secolo scorso (come rappresentato dalla mappa I.G.M. del 1937) una mulattiera evitava il saliscendi e manteneva il crinale, scendendo poi ad attraversare il fosso tramite un’altra pedanca; quindi, la via si inerpicava fino all'alpeggio di S. Paolo in Alpe e all'Eremo di S.Agostino tramite Campodonatino e Campodonato, nonostante la rilevanza classificata solo nel XX secolo come Strada Com.le Corniolo-Fiumari-S.Paolo, mentre nel fondovalle Casa Perinaia e Pian del Coltellino, facenti parte del Popolo di S. Paolo, nell’800 risultano collegati solo con l’insediamento religioso di appartenenza tramite una ripida mulattiera ed occorre attendere la fine del secolo per vedere collegati i due insediamenti con il fondovalle tramite un sentiero la cui traccia verrà sostanzialmente confermata prima da una mulattiera e in tempi moderni poco più a monte dall’odierna rotabile. Un tracciato secondario di crinale, distinto in sequenza nella Via di Val di CovileVia di Ronco del Cianco e Via della Capannina, nel XIX secolo percorreva la dorsale Poggio di Montali-Poggio Ricopri-Poggio Capannina, mentre varie diramazioni digradavano verso i fondivalle collaterali, tra cui la Via dello Scopetino, diretta verso il Fosso di Ricopri/Fiumicino.

L’altopiano di S. Paolo in Alpe, nei documenti dell’archivio dell’Opera del Duomo di Firenze detto Poggio di S. Paolo in Alpe, costituiva confine delle proprietà dell’Opera (senza farne parte) che giungevano a comprendere i poderi di Val di Covile e Ronco del Cianco, come documentato fin dal 1545, mentre Campodonato apparteneva a privati: «[…] dei livelli che l’Opera teneva in Romagna […] se ne dà ampio conto qui di seguito […] 1545 […] – Una presa di terra detta i Ronchi del Cianco e una detta Val di Covile sono some 13 per la Val di Covile, e per il Ronco del Cianco, che va fino al Fossato del Ronco del Conte, sono some 24» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 149, 150, cit.). Da una relazione del 1652: «Le selve di detta Opera benché tutte contigue fra loro per maggior chiarezza si distinguono da noi primieramente in due parti principali separate fra di loro dal poggio di S. Paolo in Alpe. Una cioè sopra detto poggio verso ponente e l’altra sotto il detto poggio verso levante. La superiore può suddividersi commodamente in tre parti delle quali quella di mezzo si chiama Campigna […]. La parte principale inferiore sotto il poggio di S. Paolo in Alpe parimenti suddividiamo in cinque parti: la prima delle quali quarta in ordine sopradetto, chiameremo Macchia di Scali […]. La quarta che contiene la macchia di Scali, la Fossa delle Macine, il Porcareccio […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 263-264, cit.). La precisa descrizione dei confini è contenuta nell’atto del 1818 stipulato con il Monastero di Camaldoli. Dalla composizione del podere di Ronco del Cianco, di cui all'atto del 1840 con i camaldolesi, si ha inoltre un'utile descrizione dei luoghi: «N. 4 - Podere denominato Ronco del Cianco […]. Terreni […]. E questa vasta tenuta è confinata come appresso: 1° a tramontana del Fosso di Pianaccione fino al Poggio di Montale Fabbri Giuliano […] 6° Fosso di Ricopri e volgendosi a levante in luogo detto Pian del Pero, 7° terre comprese nella Tenuta Forestale, 8° volgendosi verso tramontana e sempre sullo schienale del Poggio detto della Fringuella fino al Poggio della Capannina terreni compresi nella comunità di Santa Sofia, volgendosi quindi al nord-est e percorrendo sempre lo schienale del poggio che si succedono fino alla sommità del Poggio delle Bruciate, 9° terreni posti nella medesima comunità di Santa Sofia e discendendo fino al Fosso del Pianaccione Fabbri Eredi di Giovanni-Filippo salvo se altri.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 498, 511-513, cit.). I toponimi citati sono localizzabili grazie alla Carta Geometrica: presso i siti delle Bruciate e delle Fontanelle si vede rappresentato un fosso identificabile nel Fosso delle Fontanelle, che infatti nasce dalle pieghe del contrafforte tra Poggio Capannina e Monte Grosso, confluendo nel Fiumicino di S. Paolo poco prima del Fosso dell’Alberaccio; il Fosso del Pianaccione dai confronti cartografici risulta corrispondere all’odierno Fiumicino di S. Paolo. Nella mappa è rappresentato anche il sito Faggio alla Fringuella, evidentemente corrispondente al poggio citato nel contratto.

Oltre all’insediamento eremitico e alpeggio di S. Paolo in Alpe e al citato grande podere di Ronco del Cianco, posto sulle pendici esposte a meridione del sopracitato Poggio di Montali, sia il crinale della dorsale occidentale sia il fondovalle principale, le valli confluenti e aree limitrofe ospitavano alcuni insediamenti. Fiumari (di sopra), appartenente al nucleo di Case Fiumari insieme a Fiumari (di sotto), e Moscoso sono abbarbicate sullo stretto crinale a nord del poggio e sono ancora utilizzati. Inevitabile il riferimento al citato Mulino di Fiumari e adiacente Chiesa di S. Agostino. Nel fondovalle del Fiumicino di S. Paolo si trovavano Casa Perinaia e Pian di Coltellino, stretto tra gli sbocchi dei Fossi dell’Alberaccia e del Perone, inopinatamente detto Fosso del Nespolo prima della recente scomparsa. Campodonatino (scomparso per frana in tempi moderni) si trovava su un crinale quasi sul limite della Valle di Ristefani mentre i resti di Campodonato appartengono alla Valle del PeroneRistefani, un tempo godente della massima insolazione nella solitudine della sua ampia valle, oggi nasconde i ruderi tra i pini.

Essendo situati “alle falde di vasto circondario delle selve d’abeti”, ovvero marginali alla pregiata area boschiva di Campigna, però posti ad una certa distanza, anche in questi luoghi si manifestò l’esigenza di impiantare una sega idraulica, anche a servizio dell’Opera: «Si sa che nel febbraio 1444 fu concessa una sega sul fosso di Ridracoli verso Valbona […], un’altra fu concessa nel 1482 sul fiume di Ricopri […] utile a detta selva per la località e la via inaccessibile che è a circa quattro miglia […]. Una terza ancora […] sempre sul fiume di Ridracoli nel 1484, ed una quarta nello stesso anno sul fiume di Ricopri in luogo detto i Diaccioni; una quinta nel Pianazzone nel 1490 ed una sesta nel 1503 […], con tanto di edificio, […] sul fiume dell’Asticciola.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 63-64, cit.). Riguardo la collocazione della Sega del Pianazzone, risalente al 1490, grazie alla cartografia ottocentesca si può individuare con certezza il sito di Pianaccione, posto sulle sponde di una delle ramificazioni di origine del Fiumicino, area oggi attraversata dagli stretti tornanti della Strada Vic.le Corniolino-S. Paolo in Alpe, a breve distanza dalla Fonte del Rospo, luogo già ricompreso nel podere di Ronco del Cianco«Di un solo e vasto tenimento di terre tutte giacenti in poggio si compone il podere […]. Questo si conosce per più e diverse denominazioni e vocaboli quali sono: […] Pianaccione […] E' molto intersecato dal Fosso principale detto il Pianaccione, dall'altro fosso delle Fontanelle […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 512, cit.). 

Le identificazioni toponomastiche e grafiche della cartografia antica e moderna (Catasto toscano, Carta d’Italia I.G.M., N.C.T. Nuovo Catasto Terreni, C.T.R. Carta Tecnica Regionale) riguardanti i fabbricati della Valle del Fosso del Fiumicino si possono schematizzare come di seguito elencato:

S. Paolo nel Catasto toscano, o S.Paolo in Alpe nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 e 1937) e in quella moderna, o S. Paolo nel N.C.T., o S. Paolo in Alpe nella C.T.R.;

S. Paolo chiesa nel Catasto toscano, o S.Paolo in Alpe nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 e 1937) e in quella moderna, o S. Paolo in Alpe nel N.C.T. e nella C.T.R.;

Ronco del Cianco nel Catasto toscano, o C.del Cianco nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894), o C.Ronco del Cianco nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1937), o C. Ronco del Cianco in quella moderna, o Ronco del Cianco nel N.C.T. e nella C.T.R.;

Fiumari nel Catasto toscano, o C.se Fiumari nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 e 1937), o C.se Fiumari in quella moderna, o Fiumari nel N.C.T. e nella C.T.R.;

Muscoso nel Catasto toscano, o C.Muscoso nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894), o C.Moscoso nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1937), o C. Moscoso in quella moderna, o Moscoso nel N.C.T. e nella C.T.R.;

Molino de Fiumari nel Catasto toscano, o M.oFiumari con simbolo di Opificio a forza idraulica (ruota dentata) nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 e 1937), o M.o Fiumari in quella moderna, o Molino di Fiumari nel N.C.T. e nella C.T.R.;

Chiesa di S. Agostino: assente nel Catasto toscano e nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894), o simbolo anonimo di Casa in muratura nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1937), o simbolo anonimo di Chiese ed oratori in quella moderna, o Chiesa nel N.C.T. e nella C.T.R.;

Casa Perinaia: anonimo nel Catasto toscano e nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894), o C.Perinaia nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1937), o assente in quella moderna, nel N.C.T. e nella C.T.R.;

Pian di Coltellino nel Catasto toscano, o anonimo nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 e 1937), o simbolo anonimo dei ruderi in quella moderna, o Pian di Coltellino nel N.C.T., o Fosso del Nespolo nella C.T.R.;

Campodonati nel Catasto toscano, o anonimo nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894), o Campodonatino nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1937), o assente in quella moderna, o Campodonatino nel N.C.T., o assente nella C.T.R.;

Campo Donati nel Catasto toscano, o anonimo nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894), o Campodonato nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1937), o Campodonato con simbolo dei ruderi in quella moderna, o Campo Donati nel N.C.T., o Campodonato nella C.T.R.;

Ristefani nel Catasto toscano, o C.Ristefani nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894), o C.Ristèfani nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1937), o C. Ristèfani in quella moderna, o Ristefani nel N.C.T. e nella C.T.R.

L’Altopiano di S. Paolo in Alpe appartiene al sistema di crinali che, nelle varie epoche, ha avuto un ruolo cardine nella frequentazione del territorio e già nel paleolitico (tra un milione e centomila anni fa) garantiva un’ampia rete di percorsi naturali che permetteva ai primi frequentatori di muoversi e di orientarsi con sicurezza senza richiedere opere artificiali. Nell’eneolitico (che perdura fino al 1900-1800 a.C.) i ritrovamenti di armi di offesa (accette, punte di freccia, martelli, asce) attestano una frequentazione a scopo di caccia o di conflitto tra popolazioni di agricoltori già insediati (tra i siti, Campigna, con ritrovamenti isolati di epoca umbro-etrusca, Rio Salso e S. Paolo in Alpe, anche con ritrovamenti di sepolture). Oltre a detti reperti il luogo è notissimo per l’insediamento originariamente costituito da un eremo che, «[…] secondo il Repetti, era un tempo soggetto all’Abbazia di Isola, come si rileverebbe da due documenti del 1092 e del 1269.» (www.fc.camcom.it, V Le Case Sparse, _86, cit.). Le visite apostoliche forniscono utili informazioni relative ai secoli XVII e XVIII quando viene rilevata la presenza di due distinti e distanziati edifici religiosi, posti sullo stacco delle due prominenze che si aprono verso Libeccio e Garbino (SO – SSO), divise dal Fosso dell’Alberaccio: la Chiesa di S. Agostino in Alpe e la Chiesa di S. Paolo in Alpe, poi Oratorio di S. Paolo, da cui deriva il nome del luogo. La visita più antica e nota risale al 1667, quando viene prescritta la provvista di suppellettili. La visita del 1705 informa sulla «[…] chiesa semplice di S. Agostino in Alpe, situata sulla stessa vetta del monte in cui si trova quella di S. Paolo. È stata costruita da frati eremiti di S. Agostino, dei quali due o tre abitavano presso di essa, sostentandosi coi frutti dei poderi e in parte con le elemosine» (E. Agnoletti, 1996, p. 247, cit.). A seguito della soppressione del convento, nel 1649, con bolla di Innocenzo X, i beni vengono assegnati alla Chiesa di S. Agostino. All’epoca era presente un solo altare con un crocifisso scultoreo. Dovendo sostituire la campana gran parte della spesa viene imposta alla popolazione, in quanto principale beneficiaria. Nel 1710 viene costruita sul lato sx una piccola cappella dedicata a S. Paolo, con ricollocazione dell’antica icona dell’apostolo, mentre l’edificio sacro, ormai in rovina, era concesso a tal Crisolini per uso privato: «Dopo il presbiterio, dalla parte sinistra dell’altare, era stata costruita una piccola cappella alta 10 palmi, larga sei, con un’antica icona di S. Paolo apostolo, portatovi dall’oratorio omonimo già sospeso, concesso ad uso profano del sig. Crisolini.» (E. Agnoletti, 1996, p. 249, cit.); le dimensioni probabilmente corrispondevano a m 2,63 di altezza e m 1,58 di larghezza; è conseguentemente immaginabile una lunghezza intorno ai 3 m. Nel 1716 ottiene la promozione a parrocchia essendo i circostanti territori montani troppo distanti da quella di appartenenza di S. Martino a Ridràcoli, con assegnazione di parte del suo Popolo e di parte di quello di Corniolo e rispettivo distacco di 16 case. Nel 1720, risulta dotata di due altari e di un dipinto raffigurante la Madonna con Bambino e S. Agostino, oltre a preziose suppellettili. All’epoca viene stabilito l’ampliamento dell’edificio che doveva contenere 203 parrocchiani e il trasferimento dell’icona di S. Paolo all’altare maggiore in quanto la sua cappella era già degradata. Nel 1730 le due icone sacre avevano ritrovato la giusta collocazione ma quella antica di S. Paolo risultava ormai in rovina e, nel 1756, risulta sostituita con l’icona della Madonna con S. Giuseppe. All’epoca i parrocchiani ammontavano a 229 e vi aveva sede la Compagnia del SS. Sacramento. L’ultima visita apostolica risale al 1776. Dalla cronaca delle visite si giunge alle distruzioni in seguito ai terremoti del 1818-19 e alla successiva ricostruzione, comprendente il singolare campanile a vela in parte in muratura intonacata con trifora e occhiello, infine al conflitto bellico da cui consegue, nel 1944, l’incendio per rappresaglia di tutti gli edifici ad opera delle truppe tedesche e il definitivo abbandono. Sul retro della chiesa esisteva una Canonica con cappella per dimora del prete, che pare fosse un agostiniano: inizialmente definita piccola, rimangono visibili resti al piano terra ed una finestra del piano superiore corrispondenti ad una dimensione planivolumetrica maggiore della chiesa, forse più recente ma documentata già dal Catasto toscano quando probabilmente svolgeva anche funzioni scolastiche. Una chiesa con intenzioni sostitutive verrà ricostruita a Fiumari nel 1988. «Distrutta dai terremoti del 1918-19, la chiesa di S. Agostino fu ricostruita, ma già nel 1980 era crollata e mostrava i segni di un edificio assai grazioso, col suo campanile a vela, costruito in forma di trittico, sul lato sinistro di fondo. Otto anni dopo, la chiesa di S. Agostino fu costruita ex novo alla base del monte, in località Fiumari.» (E. Agnoletti, 1996, p. 251, cit.). La Chiesa di S. Paolo è citata per la prima volta nella visita pastorale del 1625, quando vien trovata semidistrutta. «In essa gli Abati vi avevano sempre fatto celebrare a proprie spese, facendo parte dell’abbazia, ma senza avere alcun reddito, ma per la pietà popolare dei popoli verso S. Paolo, non cessando mai il concorso del popolo circostante, giungendo anche da luoghi lontani, tanta era la loro venerazione, specialmente per la presenza di un pozzo posto sul culmine del monte con ottima acqua perenne.» (E. Agnoletti, 1996, p. 252, cit.). Se nel 1667 appare mancante delle suppellettili ad eccezione del calice, il rapporto della visita del 1705 è particolarmente negativo: «Visita alla chiesa semplice od oratorio di S. Paolo in Alpe, unita all’abbazia di S. Ellero e di S. Maria in Cosmedin dell’Isola. Si trova sul vertice di un altissimo monte, in parrocchia di S. Martino di Rio degli Oracoli, detto Ridracolo, da cui dista circa 4 miglia, con un cammino appena accessibile. La chiesa è male strutturata, col tetto che minaccia di rovinare, le pareti con spaccature, la porta consumata dal tempo. L’altare è spoglio. Se c’è qualche suppellettile è fradicia. Solo in calice e il messale sono decenti, ma questi sono conservati nella casa vicina, dove è depositata anche la campana, tolta dal campanile […] per timore che si frantumasse cadendo […].» (E. Agnoletti, 1996, p. 252, cit.). Tuttavia solo periodicamente e in parte veniva ripristinata, tanto da venire ripetutamente interdetta, pur possedendo un podere ed altri terreni in affitto con reddito annuo di 35 scudi. Nel 1746, per le suppliche della popolazione, ne viene ordinato il ripristino con ricollocazione della sua icona, ma, nel 1756, per la violenza del vento e le forti nevicate, risulta nuovamente in rovina, compresa la tavola raffigurante S. Paolo. In occasione dell’ultima visita apostolica del 1776 risulta tuttavia pressoché riedificata. Agli Anni ’80 risalgono le ultime notizie relative a quanto rimaneva della chiesa definitivamente declassata a Oratorio «[…] di patronato della famiglia Giorgi, recentemente demolito dall’Azienda Forestale.» (www.fc.camcom.it, V-Le Case Sparse_86, cit.), probabilmente rimosso per far spazio alla “modernizzazione” infrastrutturale della viabilità di crinale verso Biserno, che occorreva distanziare da uno dei più alti insediamenti silvo-pastorali d’alta quota della montagna forlivese. Oggi noto come il Casone di S. Paolo, nella consistenza attuale edificato principalmente tra la seconda metà del secolo XIX e la prima metà del XX, il fabbricato vedeva il suo nucleo originario, costituito essenzialmente da due vani abitativi sivrapposti (il bestiame forse era ricoverato nella stalla adiacente l'eremo), condivideva il toponimo (S.Paolo) con l’edificio religioso, che probabilmente aveva canonicamente rivolta la facciata verso Est e prospiciente la Via di Scalicome confermerebbe la mappa catastale ottocentesca, dove si nota un piccolo sagrato adiacente alla strada. Solo in seguito, mentre l’edificio colonico si ampliava in direzione opposta dotandosi di stalle e fienili, si nota la sede viaria traslata a separare strettamente i due fabbricati. All’epoca dell’ampliamento della sede stradale tutti i fabbricati verosimilmente si trovavano già completamente abbandonati, anche in conseguenza delle distruzioni belliche, o in fase di abbandono. Il Casone è stato rinteressato da un intervento di recupero ad opera del Parco delle Foreste Casentinesi; da fine 2018 nel locale ex-stalla è sempre aperto il Bivacco San Paolo in Alpe. «Il Casone, di proprietà della Regione Emilia Romagna, è disabitato da oltre 50 anni (gli ultimi mezzadri lo hanno abbandonato all’inizio degli anni sessanta) e versa in pessimo stato manutentivo, con gran parte del tetto, i solai e le murature quasi completamente crollati e le restanti parti fortemente lesionate, a causa dell’azione degli agenti atmosferici e della vetustà nonché per l’assenza di manutenzione. I lavori del progetto prevedono il recupero del corpo edilizio posto sul margine Nord Est del fabbricato originario al fine di realizzare un bivacco per escursionisti e un punto di osservazione per la fauna selvatica. Sulla rimanente parte, però, sarà comunque realizzato un intervento di risanamento conservativo con consolidamento dell’ossatura portante, al fine di evitare il crollo completo dell’immobile e la conseguente perdita di una pregevole testimonianza tipologica abitativa dei luoghi.» (Il Casone di San Paolo, da rudere a ricovero per escursionisti, in: Crinali n.47, 2018, p. 13, cit.).

Esaminando il fabbricato colonico è evidente come la rigidità climatica e l’esposizione al vento hanno fortemente condizionato la sua tipologia costruttiva, conseguente ad un’economia di montagna quindi caratterizzata dalla notevole espansione orizzontale e dalla limitata altezza, con assenza di annessi indipendenti e concentrazione di tutte le funzioni all’interno del medesimo fabbricato, compreso il pozzo (aspetto questo singolare, probabilmente si tratta dello stesso pozzo delle descrizioni storiche, inglobato in occasione di uno dei vari ampliamenti), così che ampie stalle occupano il piano terra ed i fienili, come consuetudine posti al piano superiore anche al fine di garantire la coibentazione, erano dotati di condotta per la discesa del foraggio direttamente nella stalla. La porzione di casa-stalla posta alla testata Est costituisce il nucleo originario, così come rappresentato nel Catasto toscano (quando risultava composta di 6 vani, di proprietà di Gio. Filippo Fabbri e F.lli), mentre la gran parte del fabbricato, destinato a stalla-fienile e frutto di successivi accrescimenti, è relativamente recente ed è rappresentata nel NCT del 1935-39; escludendo l’oratorio che, come detto, compare ancora fronteggiante il nucleo abitativo, tali catasti rappresentano sostanzialmente la situazione oggi leggibile nei ruderi superstiti dopo le distruzioni, l’abbandono conseguenti alle vicende belliche del 1945, il successivo riutilizzo ed il definitivo abbandono negli Anni ‘60. Negli anni ’70-’80 il fabbricato si presentava tuttavia ancora sostanzialmente integro e visitabile all’interno, come risultante dalla documentazione fotografica d’epoca, quando essendo proprietà dell’A.R.F. compariva nei relativi elenchi come composto da 13 vani. Sul retro del fabbricato si trova Il Guardiano, ovvero un noto e classificato esemplare di 130 anni di età di Pioppo nero (Populus nigra L., Pioppo cipressino, Pioppo d'Italia).

Anche del complesso ex-religioso di S. Agostino è prevista la salvaguardia e valorizzazione da parte dell’Ente Parco delle Foreste Casentinesi che, nel dicembre 2016, lo ha acquisito. «Dal punto di vista architettonico è un esempio di architettura religiosa rurale tradizionale della zona dell’Appennino romagnolo. Di impianto regolare, in muratura a sacco in pietra arenaria squadrata, con portali e cornici in pietra, si distingue per il campanile a vela con tre fornici e foro circolare, ancora in modeste condizioni grazie anche ai lavori di riparazione che sono stati fatti negli anni ’30 per sopperire agli ingenti danni causati dal terremoto del 1918 e che hanno introdotto il conglomerato cementizio armato, ancora visibile. La chiesa occupa uno spazio di circa 15x6 m e da ciò che rimane si può leggere l’impianto originario ad ambiente unico rettangolare, con l’altare posto a Sud e le pareti laterali scandite da tre lesene. L’unica apertura è il portone di ingresso, ora in parte crollato, incorniciato da piedritti e architrave e sormontato da una finestra semicircolare che era l’unica fonte di luce del luogo di culto. La parete a sud, alle spalle dell’area dell’altare (non più presente), è andata completamente distrutta ed era il limite oltre il quale si ergeva l’edificio della Canonica. Di quest’ultima rimangono soltanto il perimetro a terra e una piccola porzione di facciata est dove ben si nota la finestra del secondo piano. Adiacente al lato sinistro della Chiesa si apre un piccolo locale con due finestre e una porta, la cui funzione è tutt’ora incerta.» (E. Bandini, San Paolo in Alpe. Il recupero della memoria, in: Crinali n.46, 2017, p. 13, cit.). Occorre ricordare che sul lato sinistro della chiesa anticamente sorgeva la Cappella di S. Paolo e che almeno uno dei suoi locali era utilizzato come scuola, come ricorda la seguente citazione: «Si dice, tra i vecchi abitanti della zona, che le nuove maestre assegnate alla scuola di San Paolo piangean sempre due volte: la prima ad inizio anno scolastico, proprio perché assegnate a questa scuola tanto scomoda e fuorimano, la seconda a fine anno quando ad inizio estate dovevano lasciare la stessa e questo splendido altopiano.» (E. Ceccarelli, N. Agostini, 2014, p.62, cit.). Separati da uno stretto passaggio, sulla sinistra, rimangono in resti di un ulteriore fabbricato, già presente nel Catasto toscano, la cui funzione di annesso agricolo si può dedurre da alcune foto storiche prebelliche, del quale, nel lato corto, evidenziano una grande apertura tipica dei fienili sottotetto e, nel lato lungo, tre porte al piano terra di probabili stalle, con l’ingresso ridotto al minimo indispensabile per la rigidità climatica. Sul retro si trovano ancora consistenti resti di un pozzo, non necessariamente lo stesso ricordato nelle visite pastorali, infatti anche all’interno del Casone (ad esso inglobato nel corso dei vari ampliamenti) si trova un pozzo, quindi prossimo all’ex Chiesa di S. Paolo, che potrebbe coincidere con le descrizioni storiche. Sul poggetto dietro la chiesa si trova quanto resta dei Pioppi di S. Paolo, anch'essi tre vecchi esemplari di Pioppo nero germinati o impiantati alla fine del XIX secolo.

In prossimità del luogo dell’Oratorio, demolito benché costituente memoria materiale della denominazione del luogo, è stata edificata la Maestà di S. Paolo, forse con intenti risarcitori benché esponga l’icona del Cristo anziché quella dell’apostolo, peraltro anch’essa canonicamente esposta ad Est. Caratterizzata dalla tipologia a pilastrino con struttura in muratura intonacata, basamento rivestito in pietra e le tipiche lastre di arenaria come copertura, come a rimembrare e ripetere antiche vicende, si presenta già parzialmente inclinata. Nei pressi si trova una bacheca commemorativa dei fatti della Resistenza. Ancora circondato da ciliegi che danno ottimi frutti, a breve distanza ed affacciato sul bordo del precipizio vallivo del Fosso del Perone, si trova il Cimitero di S. Paolo in Alpe che, dopo decenni di abbandono, è stato perfettamente restaurato con il contributo della Regione Emilia-Romagna nell’ambito del 'Piano di Azione Ambientale per un futuro sostenibile 2008/2010' e con il patrocinio del Parco delle Foreste Casentinesi e della Provincia di Forlì-Cesena. Dall’altopiano transita il Sentiero della Libertà, progetto di itinerario voluto dal Parco delle Foreste Casentinesi in collaborazione con l’Istituto per la Storia della Resistenza e dell’Età contemporanea della Provincia di Forlì-Cesena: «È un antichissimo tracciato, formato dal susseguirsi di sentieri di crinale e contro crinale che, partendo da Biserno […], dopo aver toccato l’altopiano di San Paolo in Alpe […], scende fin sul greto del Bidente di Corniolo e, dopo averlo scavalcato, risale le pendici del massiccio del Falterona per poi biforcarsi a raggiungere da una parte la Val di Sieve ed il Mugello e dall’altra parte il Casentino. Qua e là, lungo il percorso, tabelle, lapidi, monumenti collocati da Comune, Provincia, ANPI, indicano luoghi dove durante la Resistenza si sono svolti scontri armati o feroci rappresaglie. È stato appunto per il tanto sangue versato da gente inerme e innocente che questo suggestivo percorso è poi stato identificato e classificato con l’impegnativo termine di Libertà.» (M. Gasperi, 2006, pp. 107-108, cit.).

Per approfondimenti si rimanda alle schede toponomastiche relative ad acque, rilievi e insediamenti citati.

N.B. - Dopo la confisca del vasto feudo forestale da parte della Repubblica di Firenze a danno dei conti Guidi, l’alpe del Corniolo, la selva del Castagno e la selva di Casentino ovvero di Romagna che si chiama la selva di Strabatenzoli e Radiracoli tra il 1380 e il 1442 furono donate (il termine contenuto in atti è “assegnato in perpetuo”; A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 15-16, cit.) all’Opera del Duomo di Firenze in Romagna che, per oltre quattro secoli si riservò il prelievo del legname da costruzione e per le forniture degli arsenali di Pisa e Livorno, di quelli della Francia meridionale oltre che per l’ordine dei Cavalieri di Malta. Dopo la presa in possesso l’Opera aveva costatato che sia nei vari appezzamenti di terra lavorativa distribuiti in vari luoghi e dati in affitto o enfiteusi sia altrove si manifestavano numerosi disboscamenti (roncamenti) non autorizzati. Desiderando evitare nuovi insediamenti, dalla fine del 1510 intervenne decidendo di congelare e confinare gli interventi fatti, stabilendo di espropriare e incorporare ogni opera e costruzione eseguita e concedere solo affitti quinquennali. I nuovi confinamenti vennero raccolti nel “Libro dei livelli e regognizioni livellarie in effetti” che, dal 1545 al 1626 così costituisce l’elenco più completo ed antico disponibile. Altri elenchi e documenti utili si sono susseguiti nei secoli seguenti, fino ai contratti enfiteutici del 1818 e del 1840 con il Monastero di Camaldoli, contenenti una precisa descrizione dei confini e delle proprietà dell’Opera.

- La visita apostolica o pastorale, che veniva effettuata dal vescovo o suo rappresentante, era una prassi della Chiesa antica e medievale riportata in auge dal Concilio di Trento che ne stabilì la cadenza annuale o biennale, che tuttavia fu raramente rispettata. La definizione di apostolica può essere impropria in quanto derivante dalla peculiarità di sede papale della diocesi di Roma, alla cui organizzazione era predisposta una specifica Congregazione della visita apostolica. Scopo della visita pastorale è quello di ispezione e di rilievo di eventuali abusi. I verbali delle visite, cui era chiamata a partecipare anche la popolazione e che avvenivano secondo specifiche modalità di preparazione e svolgimento che prevedevano l'esame dei luoghi sacri, degli oggetti e degli arredi destinati al culto (vasi, arredi, reliquie, altari), sono conservati negli archivi diocesani; da essi derivano documentate informazioni spesso fondamentali per conoscere l’esistenza nell’antichità degli edifici sacri, per assegnare una datazione certa alle diverse fasi delle loro strutture oltre che per averne una descrizione a volte abbastanza accurata.

- L'Appennino romagnolo era caratterizzato fino a metà del XX secolo (superata in qualche caso per un paio di decenni) da una capillare e diffusa presenza di mulini idraulici, secondo un sistema socio-economico legato ai mulini e, da secoli, radicato nel territorio del Capitanato della Val di Bagno. Intorno al Cinquecento ognuno dei 12 comuni del Capitanato (BagnoCaresteCastel BenedettoFaccianoMontegranelliPoggio alla LastraRidràcoliRiopetrosoRondinaiaSan PieroSelvapianaValbona) disponeva di almeno un mulino comunitativo la cui conduzione veniva annualmente sottoposta a gara pubblica a favore del migliore offerente; a quell’epoca nell’area si registrano assegnazioni per 230 bolognini. La manutenzione poteva essere a carico del comune o del mugnaio. Alla fine del Settecento l’attività riformatrice leopoldina eliminò il regime di monopolio comunitativo introducendo la possibilità per i privati di costruire altri mulini in concorrenza produttiva, cui seguì un progressivo disinteresse comunale con riduzione dell’affitto annuale dei mulini pubblici fino alla loro privatizzazione. Nell’Ottocento, con la diffusione dell’agricoltura fino alle più profonde aree di montagna, vi fu ovunque una notevole proliferazione di opifici tanto che, ai primi decenni del Novecento, si potevano contare 5-6 mulini dislocati nella valle del Bidente di Campigna. Dagli anni ’30, la crisi del sistema socio-economico agro-forestale ebbe come conseguenza l’esodo dai poderi e il progressivo abbandono dell’attività molitoria e delle relative costruzioni.Gli Opifici a forza idraulica (def. I.G.M.) posti sul Bidente di Campigna o i suoi affluenti oggi noti sono: il Molino de Fiumari, documentato per l’origine quattrocentesca, quando insieme al Mulino Vecchio e al Mulino di Sabatino, presso Corniolo di proprietà comunale, benché spesso danneggiati dall’irruenza fluviale, rispondevano alle necessità della popolazione della vasta area del Popolo di Corniolo. Ad essi vanno aggiunti i Mulini di CampignaCampacci e Casina Bianca. Il Mulino di Sabatino però probabilmente si trovava all’inizio del Bidente di Corniolo, mentre il Mulino Casina Bianca, ancora completo delle opere di presa idraulica, si trova al termine del Bidente di Campigna ma pare risalga al principio del XX secolo.

- Le “vie dei legni” indicano i percorsi in cui il legname, tagliato nella foresta, tronchi interi o pezzato, dal XV° al XIX° secolo veniva condotto prima per terra tramite traini di plurime pariglie di buoi o di cavalli, a valicare i crinali appenninici fino ai porti di Pratovecchio e Poppi sull’Arno, quindi fluitato per acqua, a Firenze e fino ai porti di Pisa e Livorno. Per approfondimenti, v. M. Ducci, G. Maggi, B. Roba, 2024, cit.

- La sega idraulica o “ad acqua” venne inventata da Villard de Honnecourt nel sec. XIII e Leonardo da Vinci ne studiò il funzionamento nel 1480. Già a metà del ‘400 sono documentati alcuni impianti in Casentino, in particolare una sega ad acqua a Camaldoli (i monaci sono stati sempre all’avanguardia nella lavorazione del legno) e due artigiani specializzati a Papiano (M. Massaini, 2015, cit.).

- Negli scorsi anni ’70, seguito del trasferimento delle funzioni amministrative alla Regione Emilia-Romagna, gli edifici compresi nelle aree del Demanio forestale, spesso in stato precario e/o di abbandono, tra cui CampodonatoPian di ColtellinoRistefaniRonco del CiancoSan Paolo in Alpe e Val di Covile, divennero proprietà dell’ex Azienda Regionale delle Foreste (A.R.F.); secondo una tendenza che riguardò anche altre regioni, seguì un ampio lavoro di studio e catalogazione finalizzato al recupero ed al riutilizzo per invertire la tendenza all’abbandono, senza successo tranne che per il Casone di S. Paolo grazie al recupero odierno. Con successive acquisizioni il patrimonio edilizio del demanio forlivese raggiunse un totale di 492 fabbricati, di cui 356 nel Complesso Forestale Corniolo e 173 nelle Alte Valli del Bidente. Circa 1/3 del totale sono stati analizzati e schedati, di cui 30 nelle Alte Valli del Bidente. Il materiale è stato oggetto di pubblicazione specifica. 

- La Mostra “Il luogo e la continuità”, organizzata nel 1984 dalla C.C.I.A.A., dall’Amm. Prov. Forlì e dall’E.P.T. Forlì, completata da specifico catalogo, rappresentava la conclusione di una ricerca, avviata nel 1978, allo scopo di contribuire alla conoscenza della realtà territoriale ed antropica della Vallata del Bidente, come oggetto specifico aveva lo studio dei percorsi, dei nuclei e delle case sparse, però come momento fondamentale di lettura e progetto di un territorio, di verifica delle risorse e delle potenzialità presenti, al fine di una valorizzazione delle sue caratteristiche storico-culturali. Le tavole prodotte, oltre 100, sono state affidate al Museo “T. Aldini” per una più agevole consultazione; inoltre sono state tutte digitalizzate e sono disponibili sul sito camerale.

- Il termine “pedanca” deriva dal dialetto piemontese e ciò potrebbe spiegare anche l’adozione del termine da parte dell’I.G.M. o Istituto Geografico Militare, che fu fondato a Torino nel 1861, che quindi assorbì tale denominazione per indicare il simbolo tecnico cartografico (⤚⤙) corrispondente ai ponti pedonali.

- In base alle note tecniche dell’I.G.M. se in luogo dell’anteposta l’abbreviazione “C.”, che presumibilmente compare quando si è manifestata l’esigenza di precisare la funzione abitativa, viene preferito il troncamento “Ca” deve essere scritto senza accento: se ne deduce che se compare con l’accento significa che è entrato nella consuetudine quindi nella formazione integrale del toponimo. Inoltre, le pratiche scritturali prevedono che tra l’abbreviazione “C”, l’interpunzione e la parola seguente non vi siano interspazi.

RIFERIMENTI    

AA. VV., Dentro il territorio. Atlante delle vallate forlivesi, C.C.I.A.A. Forlì, 1989;

AA. VV., Il luogo e la continuità. I percorsi, i nuclei, le case sparse nella Vallata del Bidente, C.C.I.A.A., Amm. Prov. Forlì, E.P.T. Forlì, Forlì 1984;

AA.VV., Indagine sulle caratteristiche ambientali suscettibili di valorizzazione turistico-culturale delle vallate forlivesi. Repertorio, C.C.I.A.A. Forlì, 1982;

E. Agnoletti, Viaggio per le valli bidentine, Tipografia Poggiali, Rufina 1996;

S. Bassi, N. Agostini, A Piedi nel Parco, Escursioni nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, ComunicAzione, Forlì 2010;

E. Ceccarelli, N. Agostini, Giganti di legno e foglie. Guida alla scoperta degli alberi e dei boschi monumentali del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna, Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, ComunicAzione, Forlì 2014;

G.L. Corradi (a cura di), Il Parco del Crinale tra Romagna e Toscana, Alinari, Firenze 1992;

M. Ducci, G. Maggi, B. Roba, “Le vive travi” e i loro cammini nel Parco e nella storia, Monti editore, Cesena 2024;

M. Foschi, P. Tamburini, (a cura di), Il patrimonio edilizio nel Demanio forestale. Analisi e criteri per il programma di recupero, Regione Emilia-Romagna A.R.F., Bologna 1979;

A. Gabbrielli, E. Settesoldi, La Storia della Foresta Casentinese nelle carte dell’Archivio dell’Opera del Duomo di Firenze dal secolo XIV° al XIX°, Min. Agr. For., Roma 1977;

M. Gasperi, Boschi e vallate dell’Appennino Romagnolo, Il Ponte Vecchio, Cesena 2006;

N. Graziani (a cura di), Romagna toscana, Storia e civiltà di una terra di confine, Le Lettere, Firenze 2001;

M. Massaini, Alto Casentino, Papiano e Urbech, la Storia, i Fatti, la Gente, AGC Edizioni, Pratovecchio Stia 2015;

F. Pesendorfer (a cura di), IL GOVERNO DI FAMIGLIA IN TOSCANA. Le memorie del granduca Leopoldo II di Lorena (1824-1859), Sansoni Editore, Firenze 1987;

A. Sansone, Relazione sulla Azienda del Demanio Forestale di Stato – 1° luglio 1910/30 luglio 1914, Roma 1915;

P. Zangheri, La Provincia di Forlì nei suoi aspetti naturali, C.C.I.A.A. Forlì, Forlì 1961, rist. anast. Castrocaro Terme 1989;

Crinali – Anno XXIV n°46 – Agosto 2017, Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna, Pratovecchio-Stia;

Crinali – Anno XXV n°47 – Giugno 2018, Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna, Pratovecchio-Stia;

Carta Escursionistica scala 1:25.000, Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, S.E.L.C.A., Firenze

Parco nazionale delle foreste casentinesi. Carta dei sentieri 1:25.000, N.20, Monti editore, 2019;

Regione Toscana – Progetto CASTORE – CAtasti STOrici REgionali;

Carta della Romagna Toscana e Pontificia: URL http://www502.regione.toscana.it/searcherlite/cartografia_storica_regionale_scheda_dettaglio.jsp?imgid=10910;

G. Inghirami, Carta Geometrica della Toscana, 1830;

Carta Geometrica della Regia Foresta Casentinese: URL http://www502.regione.toscana.it/searcherlite/cartografia_storica_regionale_scheda_dettaglio.jsp?imgid=11479;

Bozze di mappe catastali della Foresta Casentinese e Campigna: URL http://www502.regione.toscana.it/searcherlite/cartografia_storica_regionale_scheda_dettaglio.jsp?imgid=11644;

URL http://www.popolidelparco.it/media/archivio-pietro-zangheri-zan098/;

URL https://www.tourer.it/;  

URL www.mokagis.it/html/applicazioni_mappe.asp.

Percorso/distanze :

Testo di Bruno Roba - S. Paolo in Alpe è facilmente raggiungibile dalla strada forestale S.Paolo in Alpe-La Lama, deviazione dalla S.P. 4 del Bidente seguendo la rotabile S.Vic.le Corniolino-S. Paolo in Alpe (bivio per S.Agostino al km 35+100) per circa 6 km. Dalla sbarra 2 km circa, oppure da case Fiumari per sentiero CAI 255. Inoltre è raggiungibile da Ridracoli seguendo il sentiero 233 GCR - dislivello mt 566.

foto/descrizione :

foto del 2009
san Paolo in Alpe

Caprioli a San Paolo
 

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Le seguenti foto sono state scattate da Bruno Roba, che ha anche inserito i testi, e qui riprodotte su autorizzazione dell’autore.

001a/001d – Dal Monte Penna, viste panoramiche e ravvicinate con indice fotografico; il tratto continuo evidenzia la linea di crinale del contrafforte secondario che si stacca da Poggio Scali, dietro, il puntinato indica la linea di crinale del contrafforte principale che si stacca dal M. Falco/Piancancelli (7/02/11 – 26/01/12 - 17/10/13).

 

001e/001h – Da Poggio Sodo dei Conti, tra la sequenza di dorsali, si evidenzia il tratto di contrafforte Poggio Capannina-Monte Grosso-Poggio Squilla e l’Altopiano di S. Paolo in Alpe offre scorci suggestivi, anche nel dividere le profonde incisioni del Fosso del Perone, sulla sx, e del Fosso dell’Alberaccio, sulla dx (22/12/11).

 

001i - 001l - 001m - Dalla Costa Poggio dell’Aggio Grosso, veduta similare ma da quota inferiore (31/10/17).

 

001n/001q - Dalla S.P. 4 del Bidente, veduta pressoché allineata alla precedente, ma da sito più prossimo e quota inferiore, da dove si evidenziano i principali aspetti morfologici (11/02/16).

 

002a/002f – Le vedute panoramiche da Poggio Scali sono spesso condizionate dagli eventi meteorologici e dalle particolari atmosfere che ne derivano. Così le praterie innevate spiccano nel contesto invernale o gareggiano per aridità con le nude stratificazioni rocciose nelle stagioni secche. Da qui si distingue bene la separazione tra le due prominenze dell’altopiano che ospitavano i due distinti insediamenti religiosi di S. Agostino e S. Paolo. Sul Casone è all’opera il cantiere per il suo recupero (9/03/11 – 2/09/11 – 16/02/18 – 30/09/18)

 

002g/002n - Il Canale del Pentolino incide lo spartiacque appenninico fino al crinale aprendo un varco panoramico: la sella di Pian del Pero proietta la vista lungo il contrafforte, che si segue pressoché per l’intero suo sviluppo verso la bassa valle di Ridràcoli fino a scorgere S.Sofia. Nel contrafforte, l’Altopiano risalta e mostra aspetti altrimenti ignoti (15/05/14 – 11/12/14 – 30/09/18).

 

003a – 003b – 003c – Dall’estremo occidentale della vetta di Poggio Capannina, scorcio verso l’altopiano e, in particolare, sul sito dell’eremo (2/06/18).

 

003d – 003e – 003f - Da Poggio Ricopri si ha una particolare veduta del profilo dell’altopiano e si fronteggia l’impervio versante profondamente inciso, dove ha origine il Fosso del Perone e si affaccia il restaurato Cimitero di S. Paolo. Le scalettature dell’alta parete rocciosa sono state proficuamente utilizzate dalla mulattiera per S. Paolo, oggi Sent. 255 (16/11/16).

 

003g – 003h – 003i - Dal crinale di Ronco dei Preti l’altopiano di S. Paolo appare un fazzoletto erboso ritagliato tra aspri rilievi boscati (24/10/18).

 

003l – Schema da cartografia moderna del bacino idrografico del Fosso del Fiumicino di S. Paolo, con i suoi affluenti della Fonte delle Fontanelle, dell’Alberaccia, del Perone e di Ristefani nonché della vallecola del Fosso del Bagnatoio.

003m - 003n - 003o – Schema di mappa catastale della prima metà dell’Ottocento, evidenziante il sistema insediativo, con utilizzo della toponomastica originale, integrata a fini orientativi con utilizzo di grassetto nero, e confronti schematici tra cartografia antica e moderna da cui si rilevano le modifiche planimetriche e alla viabilità intercorse nei periodi frapposti, in particolare riguardo la scomparsa chiesa di S. Paolo e l’antistante sagrato e nel rapporto con il Casone.

003p – Mappa schematica dedotta da cartografia del 1850 dove, in base ai toponimi storici, sono evidenziati i siti delle seghe idrauliche localizzate a Campigna, prima lato ovest poi forse spostata pressi I Tre Fossati, le altre presso il Fosso di Ricopri, ovvero a Diaccioni la Sega di Sotto e a Ricopri le Seghe di Mezzo e di Sopra, a Pianaccione presso il Fosso Fiumicino di S. Paolo e a Sasso Fratino, sul Fosso dell’Asticciola.

003q - Schema cartografico da mappa del XIX sec. che, nella sua essenzialità, riguardo la viabilità principale evidenziava esclusivamente i tracciati viari che da S.Sofia raggiungevano lo Spartiacque Appenninico, mantenendosi prossimi al fondovalle fino a Corniolo, nella valle di Campigna risalendo sul crinale di Corniolino fino alla sella di Tre Faggi con discesa a Campigna e risalita al Passo della Calla.

003r - Mappa schematica dedotta da cartografia storica di inizio XX sec. evidenziante reticolo viario e idrografico precedente al completamento della viabilità provinciale.

003s – 003t – 003u – Vedute relative al moderno rapporto tra infrastruttura e insediamento: in luogo della Maestà di S. Paolo, pure guardante ad Est ma più prossima al Casone, occorre immaginare la presenza della piccola Chiesa/Oratorio di S. Paolo (26/03/12 – 10/12/15 – 25/04/18).

 

004a/004g – Discendendo da Poggio Squilla si evidenzia la divaricazione morfologica che movimenta l’altopiano offrendo l’occasione per i due antichi insediamenti religiosi, contemporaneamente interdipendenti ma contrapposti nella loro individualità (26/03/12 – 25/04/18).

 

004h/004m – Veduta della prominenza dell’altopiano con l’insediamento del Casone di S. Paolo, separato dalla prominenza dell’Eremo di S. Agostino dall’impluvio del Fosso dell’Alberaccio, con i resti dell’alpeggio e gli abituali abitanti (26/03/12 – 18/11/15).

 

004n/004v - Veduta della prominenza dell’altopiano con l’insediamento di S. Agostino. Fanno ancora parte del paesaggio i resti delle recinzioni dell’alpeggio che non limitano la vita e l’”intimità” dei suoi abituali abitanti, a volte illuminata da una luce mattutina tanto calda da apparire artificiale, fino a dover modificare il bilanciamento neutro del bianco (26/03/12 – 10/12/15 - 24/10/18).

004za – 004zb – 004zc – Contrasto totale tra le vedute precedenti e le seguenti, pure caratterizzate dall’intrinseco contrasto tra la prima neve e gli ultimi colori autunnali (21/11/18).

005a/005m – I resti del fabbricato religioso. Da notare una volumetria sul lato sx della chiesa, piccola parte della quale potrebbe corrispondere a qualche resto della Cappella di S. Paolo, se ancora presente al momento del terremoto del 1918 ma comunque modificata nella ricostruzione, ed almeno un locale era destinato a scuola; poteva altresì essere presente anche in forme diverse l’osteria ricordata da una rustica insegna. Nel collage finale si evidenzia la porzione della canonica retrostante il campanile a vela, di cui rimane parte della muratura e della finestra del secondo piano; il cordolo di conglomerato cementizio introdotto con la ricostruzione post-terremoto mostra la ridotta resistenza al degrado rispetto alla pietra che lo sorregge. Il grande campanile a vela, il cui timpano della trifora è in muratura di laterizio intonacata, pare iniziativa della ricostruzione incoerente con la tipologia di una piccola chiesa di montagna (26/03/12 - 18/11/15 - 16/05/19). 

 

005m1/005m6 – Le strutture del complesso in corso di restauro (17/03/23).

005n/005r2 – Vedute dal retro del complesso religioso, dei resti dell’annesso agricolo e del pozzo (26/03/12 – 18/11/15 - 17/03/23).

 

005s/005w – Nel pianoro che si sviluppa sul retro del complesso religioso sulla schiena del poggio vegetano da 120 anni stimati tre esemplari di Pioppo nero, Populus nigra, purtroppo uno recentemente collassato (26/03/12 – 15/07/13 - 18/11/15 - 16/05/19).

 

005z1 - 005z2 – Elaborazioni pittoriche tipo olio di particolare da foto storica prebellica da cui, tra l’altro, si rileva la consistenza dell’annesso agricolo con tre accessi di probabili stalletti e la grande apertura tipica dei fienili sottotetto, e della chiesa in tempi moderni dopo il crollo del tetto.

006a/006s – Il cimitero di S. Paolo, ottimamente restaurato nella sua testimonianza storica e circondato da ciliegi, si affaccia sul panorama (26/03/12 – 15/07/13 - 18/11/15).

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