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scheda n. 3010 letta 443 volte

Il Castelluccio

inserita da Bruno Roba
Tipo : rudere
Altezza mt. : 732
Coordinate WGS84: 43 51' 07" N , 11 51' 13" E
Toponimo nell'arco di
notizie :

Il Ronco - Già con la gestione da parte dell’Opera del Duomo di Firenze del vasto feudo forestale che si estendeva soprattutto nelle valli del Bidente giungendo fino a ridosso del nucleo di Ridràcoli (gestione che si protrarrà per oltre quatto secoli a partire dal XIV), contemporaneamente ai tagli del bosco iniziò l’antropizzazione per la messa a coltura dei terreni forestali da parte della popolazione romagnola attraverso il caratteristico “ronco”. Ovvero, tagliato a raso un pezzo di bosco si metteva a coltura il relativo terreno, inizialmente costruendo anche delle capanne che, in seguito, divennero vere e proprie case coloniche. Con l’incremento della popolazione e, a partire dal XVIII sec., con la politica liberista del governo lorenese, ma anche fino al XX, avvenne una progressiva risalita delle coltivazioni, a spese del bosco, in località anche impervie e ad altitudini sempre maggiori e la foresta si restrinse fino a ridursi alle testate delle valli del Bidente. La mancanza di opere efficaci di sistemazione idraulica, agraria e forestale su terreni spesso derivanti da strutture geomorfologiche instabili determinò un processo di depauperamento produttivo oltre forte erosione delle acque superficiali fino all’asportazione dei soprassuoli mettendo a nudo la viva roccia (cfr.: M.Padula, a cura di, Le foreste di Campigna-Lama nell’Appennino tosco-romagnolo, Regione Emilia Romagna 1988; L. Rombai, M. Pinzani, Profilo della Romagna toscana: aspetti di geografia fisica e umana, in: N. Graziani (a cura di), Romagna toscana. Storia e civiltà di una terra di confine, Le Lettere, Firenze 2001). 

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Testo di Bruno Roba (05/2016  - Agg. 29/11/2023) - Il Fosso del Molino raccoglie il reticolo scolante dell’amplissimo bacino idrografico dei Fossi Rogheta di Romiceto, tuttavia è piuttosto breve anche in relazione all’ampiezza del suo alveo e oggi diviene braccio lacustre in loc. Comignolo, quando ampio e tranquillo serpeggia compiendo una doppia ansa.

Il bacino idrografico del Fosso Rogheta è delimitato a settentrione dal tratto del contrafforte secondario che si prolunga dal poggio di Croce di Romiceto al crinale di Casanova dell’Alpe, avendo interposta la sella con la Maestà di Valdora e dalla dorsale compresa tra i Monti MoriccionaCerviaia Palestrina. A meridione è delimitato dalla dorsale che si stacca da Croce di Romiceto, proiettandosi verso il fondovalle del Rogheta.

Il bacino idrografico del Fosso di Romiceto è delimitato a settentrione dall’ulteriore tratto del contrafforte secondario compreso tra il poggio di Croce di Romiceto e Poggio della Bertesca e dalla citata dorsale che si stacca dal nodo montano di Croce di Romiceto, mentre il limite meridionale è determinato dalla dorsale di Poggio Fonte Murata, che nella piega creata con il contrafforte all’altezza del Passo della Bertesca vede l’origine del Fosso di Ponte Camera, affluente del Fosso di Romiceto.

Il bacino idrografico del Fosso del Molino è delimitato del versante meridionale del Monte Palestrina e dalle due diramazioni terminali della dorsale di Poggio Fonte Murata, una che si interrompe bruscamente con Poggio La Guardia, l’altra che si prolunga declinando presso i resti del Molino di Carpanone e la confluenza con il Fosso Rogheta.

Per l’inquadramento territoriale v. schede Valle del Bidente di Ridràcoli e dei Fossi del Molino, Rogheta e di Romiceto.

Nei versanti vallivi favorevolmente esposti si resero possibili alcuni appoderamenti. Il podere di maggiore rilievo si trovava nella Valle del Rogheta e faceva capo a Casanova dell’Alpe, unico insediamento ancora frequentato; le prime notizie risalgono al XIV secolo grazie ai rapporti della Descriptio provinciae Romandiole, quando corrispondeva «[…] all’antico Castronuovo dei Conti di Valbona il quale nel 1371 conteneva 6 focolari. Ora la parrocchia di Santa Maria del Carmine di Casanova, diocesi di Borgo San Sepolcro, conta 157 abitanti.» (E. Rosetti, 1894, p. 170, cit.). Anche le prime notizie relative a Valdiorta derivano dalla stessa fonte: «1371 - Selvatico e Carlo, fratelli e figli del fu Leuzzino vendono il 30 gennaio in Strabatenzoli una pezza di terra nella stessa corte in un luogo detto Valdiorta (c’è ora Valdora in parrocchia di Casanova) per lire 6 […]. Il contratto fu stipulato nella rocca di Valbona.» (D. Mambrini, 1935 – XIII, pp. 297-298). Altre antiche citazioni relative alla stessa valle risalgono agli anni 1545-47, sono riprese dai documenti dell'Opera del Duomo e riguardano Valdora Pratalino«[…] dei livelli che l’Opera teneva in Romagna […] se ne dà ampio conto qui di seguito […] 1545 […] – Una presa di terra cerretata detta le Mandriacce e Romiceto confina con i beni censuati di Valbona dell’Opera e scende giù fino alla testa del raggio di Valdora e sono some 19 e 1 staio - Una presa di terra in Valdora in luogo detto alla Pozzaccia […] 1547 […] – Una presa di terra lavorativa e roncata con casa posta al Pratalino di some 15 […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 150, cit.). Pratalino, sebbene situato sul crinale della sella tra i Monti Cerviaia e Palestrina, al termine della S. Vic.le del Pratolino e lungo la Strada che dal Pontino va alla Casanova, nel Catasto toscano è però mappato nella sezione di Ridràcoli e ricade sul limite del bacino idrografico del fosso Il Fossone, oggi immissario lacustre. Successivamente sono documentati il Podere la Casa Nuova e il Podere del Castelluccio, appartenenti all’Opera, che dal 1605 al 1637 sono concessi in affitto, così come da un accurato elenco relativo al 1637: «1637 – Nota dei capi dei beni che l’opera è solita tenere allivellati in Romagna e Casentino e sono notati col medesimo ordine col quale fu di essi fatta menzione nella visita generale che ne fu fatta l’anno 1631: […] 40) Felcetino e Fossette terre tenute da redi di Antonio di Santino detto il Cordovano. L’anno 1636 il Felcetino fu distinto e separato dalle Fossette perché quello fu unito al Podere del Castelluccio e queste furono unite al podere della Palestrina […] 42) Castelluccio, podere tenuto da redi Riccardo Lollini. 43) Cerreta, terra tenuta da redi di Lionardo Cascesi unita al Podere della Casanova […] 48) Casanova, podere tenuto da Lionardo Cascesi 49) Casanuova, terre tenute da Lionardo Cascesi unite al podere Casanuova [...]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 411, cit.). Il Casone, La Casina e Cà di Rombolo o Romolo, appartenenti a privati e tutti diruti o scomparsi, sono documentati per la prima volta nel 1765/66 grazie ai registri delle imposizioni fiscali del Capitanato di Bagno e, nel 1818, nella descrizione dei confini territoriali contenuta negli atti del Contratto livellario tra l’Opera del Duomo di Firenze e il Monastero di Camaldoli.

Gli unici insediamenti storici delle valli del Fosso di Romiceto e del suo affluente Fosso di Ponte Camera o delle Grigiole sono il Podere Romiceto (nel 1636 si dà conto per la prima volta dell’esistenza di una casa, tutt’ora utilizzata) e due fabbricati detti Capanna La Capannella (scomparsi, erano posti lungo l’antica via che conduceva a Valdora) e il Molino di Carpanone. Il sempre più fatiscente fabbricato de Le Grigiole, che pare sia sorto per servizio degli operai dell’Opera del Duomo di Firenze prima e dell’A.S.F.D. poi, appare però per la prima volta nella cartografia I.G.M. del 1937. La cartografia moderna e il PSC comunale ancora documentano, nei pressi, una Maestà (delle Grigiole), in effetti scomparsa. Fabbricati appartenenti alla Valle del Trogo ma evidentemente afferenti alla stessa area erano il Paretaio, tutt'ora utilizzato, e Il Poderino, di cui oggi non rimane traccia.

Il Casone è l’unico insediamento posto al margine del bacino idrografico direttamente scolante nel Fosso del Molino.

La prima cartografia storica, ovvero il dettagliato Catasto toscano (1826-34 – scala 1:5000), la schematica Carta della Romagna Toscana Pontificia (1830-40 – scala 1:40.000), le prime edizioni della Carta d’Italia dell’I.G.M. (1893-94 – scala 1:50.000; 1937 – scala 1:25.000), da integrare per le Valli del Molinodi Romiceto e Rogheta con la Pianta Geometrica della Regia Foresta Casentinese (1850 – scala 1:20.000), consente di conoscere il tracciato della viabilità antica che raggiungeva Ridràcoli. Attraversato il Bidente di Corniolo presso Isola, con il Ponte dell'Isola, sul luogo del ponte odierno, essa si manteneva in sx idrografica risalendo subito a mezzacosta fino a raggiungere Biserno, per quindi ridiscendere nel fondovalle del borgo, dove si concludeva con un lungo rettilineo al cui termine si trovava Il Ponte di Ridràcoli. Vari itinerari trasversali collegavano Ridràcoli con la viabilità di crinale e le vallate adiacenti.

Il crinale che dal Passo della Crocina si svolge fino alla Rondinaia (in parte anticamente detto Strada che dal Sacroeremo va a Romiceto) incrociava presso Casanova dell'Alpe i vari itinerari di collegamento alle vallate laterali nelle varie epoche frequentati dagli operatori del settore del legname, lavoratori e commercianti. Un tratto dell'antica via ancora si ritrova presso la Maestà di Valdora in corrispondenza della sella formata con il Poggio alla Croce, rilievo così noto nel XIX secolo, come da cartografia dell’epoca e dal Contratto livellario del 1840 stipulato tra l’Opera del Duomo di Firenze e il Monastero di Camaldoli,: «N° 11 - Podere di Valdoria […]. Terreni. Un vasto tenimento di terre […] conosciuto per i seguenti vocaboli: […] il Poggio alla Croce […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 498, 522-523, cit.). La Maestà di Valdora è stata «[…] rimpilata di recente.» (S. Fabiani, G. Marcuccini, W. Rossi Vannini, 1987, p. 97, cit.), mentre della  Croce di Romiceto è scomparso ogni elemento storico, compreso il basamento in pietra che solitamente reggeva una struttura lignea, sostituito da una piccola ma pessima struttura metallica, con proliferazione di targhette commemorative di aspetti non pertinenti al sito (CROCE DI ROMICETO IN MEMORIA DI PAPA GOVANNI PAOLO 2° IL GRANDE - SCOUT RAVENNA 2005 e SAN GIOVANNI PAOLO II 2014).

Oltrepassata Casanova dell’Alpe, dove sul limite del sagrato, di fronte alla chiesa, si trovava una croce in ferro battuto (documentata dalla Carta d’Italia I.G.M. del 1937), l’antico tracciato viario aggirava in alto la gola di origine del Fosso Rogheta (occorre immaginarsi la continuità del versante del Monte Moricciona prima del taglio della sterrata) e, come Strada che dal Pontino va alla Casanova, raggiungeva il crinale del Monte Cerviaia all’altezza della Maestà della Chiesaccia (presente nella mappa I.G.M. del 1894, dove un parziale restauro ha eliminato le tracce dell’incisione precedente M.M. 1919 (cfr. S. Fabiani, G. Marcuccini, W. Rossi Vannini, 1987, cit.). Il restauro ha visto l’inserimento di una facciatina di mattoni rifiniti in modo da simulare un bugnato liscio che, benché ben riconoscibile e differenziato dal pilastrino (di fattura precedente), non pare conservare alcuna memoria dello stato originario della nicchia; inoltre è stata posta un’icona con targhetta MADONNA GRECA VENERATA A RAVENNA, datata agosto 2004, cosi dimenticando l'antico toponimo. Presso la grande Croce di Pratalino (in legno con grande basamento lapideo monoblocco, forato al centro per la sede crucifera, che è stato posizionato accanto in occasione dell'ottimo restauro filologico curato, come da targa, dall’Associazione Nazionale Alpini, GRUPPO ALTO BIDENTE “Capitano DINO BERTINI”), si imboccava la discesa verso Ridràcoli mentre la via di crinale raggiungeva Pratalino passando per luoghi detti la Chiesaccia o vestigie della Chiesa Vecchia (S. Fabiani, G. Marcuccini, W. Rossi Vannini, 1987, pp. 100-106 cit.). Altre mulattiere permettevano i collegamenti con il fondovalle ed i vari insediamenti. A seguito dell’infrastrutturazione viaria del XX secolo venne realizzata una carrareccia che dal Podere Romiceto raggiungeva Valdora (come ad agevolare il suo contemporaneo abbandono), riutilizzando parte dell’antica Strada che va alla Casanova, e da qui discendeva nel fondovalle seguendo in dx idrografica il Fosso dei Bruciaticci fino al guado del Fosso Rogheta presso Il Castelluccio, quindi risaliva nell’area degli insediamenti probabilmente fino a Il Casone, forse nell’ambito dei programmi regionali dell’A.R.F. (Anni ’70) di contrasto all’abbandono del patrimonio edilizio nel Demanio forestale.

Nel contesto storico-geografico delle alte valli bidentine quella di Ridràcoli è quella che meno ha subito il fenomeno dell’abbandono grazie alle caratteristiche ambientali e climatiche più favorevoli della sua parte meno elevata. Il borgo principale, posto nel baricentro sia geografico sia del sistema insediativo, è quello più noto e frequentato e la frazione di Biserno è quella più abitata, ma le parti delle vallecole laterali più profonde e difficilmente raggiungibili sono trascurate e molti fabbricati oggi sono in stato di abbandono o ridotti a rudere o scomparsi, con vari casi di ristrutturazione interrotta, ma non fanno eccezione neanche le valli meglio infrastrutturate che, se hanno evitato il completo abbandono dei poderi, hanno scarsamente contribuito al riutilizzo dei rispettivi insediamenti, in prevalenza abbandonati o, al più, riutilizzati a fini turistici.

Le identificazioni toponomastiche e grafiche della cartografia antica e moderna (Catasto toscano, Carta d’Italia I.G.M., N.C.T. Nuovo Catasto Terreni, C.T.R. Carta Tecnica Regionale) riguardanti i fabbricati della Valle del Fosso Rogheta si possono schematizzare come di seguito elencato:

- La Casanova nel Catasto toscano, o Casanova nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 ), o Casanuova dell'Alpe nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1937), o Casanova dell'Alpe in quella moderna, o Casanova dell'Alpe nel N.C.T. e nella C.T.R.;

Valdoria nel Catasto toscano, o Valdora nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 e 1937), o simbolo dei ruderi anonimo in quella moderna (ma l'area adiacente è detta VALDORA), o Valdora nel N.C.T., o assente nella C.T.R.;

Il Castelluccio nel Catasto toscano, o anonimo nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 e 1937), o il Castelluccio in quella moderna, con simbolo dei ruderi, e nel N.C.T., o Il Castelluccio nella C.T.R.;

Cà di Rombolo nel Catasto toscano e nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 ), o assente Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1937) e in quella moderna, o anonimo nel N.C.T., o assente nella C.T.R.;

La Casina nel Catasto toscano e nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 ), o assente Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1937) e in quella moderna, o anonimo nel N.C.T., o assente nella C.T.R. 

Presso Il Castelluccio, come sopracitato documentato almeno dal 1637, in base al verbale di un sopralluogo del 1677 di funzionari dell'Opera del Duomo si apprende che vi ...: «[…] sono abeti […] siccome li poderi di Romagna appresso notati cioè […] il Castelluccio che tiene a linea Bellino Gressi […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 329, cit.). Da una relazione del 1751 sullo stato dei poderi si apprende ancora: «[…] 16) Podere del CASTELLUCCIO tenuto in affitto da Benedetto Gressi. Qui è solo necessario rivedersi i tetti di casa e capanna per levare alcune gorcie che infradiciano gli strami e furono ritrovati tutti i ferramenti agli usci e finestre a differenza degli altri poderi. Fu detto dal lavoratore esservi gli appresso bestiami: Vacche 5, sopranne 2, lattonzoli 4 in tutto 11; pecore 18, agnelle per rilevare 6, capre e caprette 20 in tutto 44 […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 437, cit.). Riguardo il tipo di interesse per questi luoghi, da una relazione del 1789 sui canoni da stabilirsi, risulta che i: «I poderi […] Castelluccio […] sono situati alle falde di vasto circondario delle selve d’abeti e sembra che sieno stati fabbricati in detti luoghi per servire di custodia e per far invigilare dai contadini di detti poderi […] non ardirei mai di far proposizione di alienarli ma […] come si rileva chiaramente dalla loro posizione servendo di cordone e custodia alle macchie medesime […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 441, 442, cit.). Nell’Archivio dell’Opera si trova la prima documentazione, non datata comunque di fine ‘700, contenente una descrizione delle case rurali dei poderi di appartenenza, relativa anche alla «[…] Casa del Podere del Castelluccio: Piano a terreno – È composto di una stalla per le capre con tramezzo di tavole per il telaio, di due stalle per le pecore, uno stabbiolo per il maiale ed un portichetto. Sopra la seconda stalla delle pecore vi è una stanza che ha l’ingresso dal portichetto il quale riesce a terreno mediante la declività del piano. Piano a palco – Si entra in una loggetta: da un lato vi è il forno dall’altro la caciaia. Di faccia si entra in una stanza soffittata con il camino. Da questa si passa in un’altra stanza a tetto e quindi in un altra la quale prende lume dal portichetto sopradescritto.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 448, cit.). Nel Contratto livellario stipulato nel 1818 tra l’Opera e il Monastero di Camaldoli si trova un’ulteriore descrizione del fabbricato: «Tutta questa tenuta  […] è composta dai seguenti terreni cioè […] 14° Podere denominato il Castelluccio […] con casa da lavoratore composta di numero nove stanze da cielo a terra, con forno aia. Questa casa ritrovasi alquanto in cattivo stato […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 471, cit.). Sciolto d’imperio il contratto del 1818 per inadempienze nell’applicazione di un rigoroso regime forestale ai possedimenti dell’Opera, nel 1840 il Granduca fece stipulare un nuovo Contratto livellario con il Monastero di Camaldoli, da cui risulta che il podere è stato annesso a quello di Valdora: «N° 11 - Podere di Valdoria […] Altro fabbricato esiste in luogo detto Il Castelluccio già casa colonica di un poderetto di tal nome stato aggregato a questo di Valdora oggi diruto in parte e parte in cattiva condizione. Nel piano terreno è composto attualmente di una stalla per le vaccine, di un porcile, di una stalla per le pecore e di altra stalletta in stato di prossima rovina. Nel piano superiore comprende una cucina con camino ed acquaio preceduta da una loggetta con forno di una piccola stanza e di due camere, il tutto a tetto. Contigui vi sono gli avanzi di una stalla, capanna rovinata, i resedi ed un orticello cinto intorno da una siepe viva.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 498, 523, cit.). Una mappa dell’Archivio Comunale di Bagno di Romagna datata 1888-1913 (cfr. C. Bignami, 1994, cit.), riguardante l’attribuzione delle numerazioni civiche, assegnava a Castelluccio il n. 23.

Il Castelluccio, di cui sono noti i proprietari e/o abitanti fino al 1940 (cfr.: C. Bignami, 1994, cit.), divenuto negli Anni ’70 proprietà ex A.R.F., dall’elenco dei fabbricati risulta essere in uso della stessa Azienda ma, non essendo indicata alcuna caratteristica dimensionale, già all’epoca della schedatura doveva essere ormai ridotto a rudere.

Per approfondimenti ambientali e storici si rimanda alle schede toponomastiche relative ad acque, rilievi e insediamenti citati.

N.B.: - Informazioni preziose riguardo luoghi e fabbricati si hanno grazie alla Descriptio provinciae Romandiole, rapporto geografico-statistico-censuario redatto dal legato pontificio cardinale Anglic de Grimoard (fratello di Urbano V) per l’area della Romandiola durante il periodo della Cattività avignonese (trasferimento del papato da Roma ad Avignone, 1305-1377). Se la descrizione dei luoghi ivi contenuta è approssimativa dal punto di vista geografico, è invece minuziosa riguardo i tributi cui era soggetta la popolazione. In tale documento si trova, tra l’altro, la classificazione degli insediamenti in ordine di importanza, tra cui i castra e le villae, distinti soprattutto in base alla presenza o meno di opere difensive, che vengono presi in considerazione solo se presenti i focularia, ovvero soggetti con capacità contributiva (di solito nuclei familiari non definiti per numero di componenti; ad aliquota fissa, il tributo della fumantaria era indipendente dal reddito e dai possedimenti). In particolare, nelle vallate del Montone, del Rabbi e del Bidente furono costituiti i Vicariati rurali delle Fiumane.

- Dopo la confisca del vasto feudo forestale da parte della Repubblica di Firenze a danno dei conti Guidi, l’alpe del Corniolo, la selva del Castagno e la selva di Casentino ovvero di Romagna che si chiama la selva di Strabatenzoli e Radiracoli tra il 1380 e il 1442 furono donate (il termine contenuto in atti è “assegnato in perpetuo”; A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 15-16, cit.) all’Opera del Duomo di Firenze in Romagna che, per oltre quattro secoli si riservò il prelievo del legname da costruzione e per le forniture degli arsenali di Pisa e Livorno, di quelli della Francia meridionale oltre che per l’ordine dei Cavalieri di Malta. Dopo la presa in possesso l’Opera aveva costatato che sia nei vari appezzamenti di terra lavorativa distribuiti in vari luoghi e dati in affitto o enfiteusi sia altrove si manifestavano numerosi disboscamenti (roncamenti) non autorizzati. Desiderando evitare nuovi insediamenti, dalla fine del 1510 intervenne decidendo di congelare e confinare gli interventi fatti, stabilendo di espropriare e incorporare ogni opera e costruzione eseguita e concedere solo affitti quinquennali. I nuovi confinamenti vennero raccolti nel “Libro dei livelli e regognizioni livellarie in effetti” che, dal 1545 al 1626 così costituisce l’elenco più completo ed antico disponibile. Altri elenchi e documenti utili si sono susseguiti nei secoli seguenti, fino ai contratti enfiteutici del 1818 e del 1840 con il Monastero di Camaldoli, contenenti una precisa descrizione dei confini e delle proprietà dell’Opera.

- Negli scorsi anni ’70, a seguito del trasferimento delle funzioni amministrative alla Regione Emilia-Romagna, gli edifici compresi nelle aree del Demanio forestale, spesso in stato precario e/o di abbandono, tra cui Il Castelluccio, Il Casone, Podere Romiceto, Pratalino e Valdora, divennero proprietà dell’ex Azienda Regionale delle Foreste (A.R.F.); secondo una tendenza che riguardò anche altre regioni, seguì un ampio lavoro di studio e catalogazione finalizzato al recupero ed al riutilizzo per invertire la tendenza all’abbandono, senza successo tranne il totale riutilizzo di Podere Romiceto. Con successive acquisizioni il patrimonio edilizio del demanio forlivese raggiunse un totale di 492 fabbricati, di cui 356 nel Complesso Forestale Corniolo e 173 nelle Alte Valli del Bidente. Circa 1/3 del totale sono stati analizzati e schedati, di cui 30 nelle Alte Valli del Bidente. Il materiale è stato oggetto di pubblicazione specifica.

- Nel passato anche recente l’ambiente montano veniva visto soprattutto nelle sue asperità e difficoltà ed avvertito come ostile non solo riguardo gli aspetti climatici o l’instabilità dei suoli ma anche per le potenze maligne che si riteneva si nascondessero nei luoghi più reconditi. Dovendoci vivere si operava per la santificazione del territorio con atteggiamenti devozionali nell’utilizzo delle immagini sacre che oltre che espressioni di fiducia esprimevano anche un bisogno di protezione con una componente esorcizzante. Così lungo i percorsi sorgevano manufatti (variamente classificabili a seconda della tipologia costruttiva come pilastriniedicolecrocitabernacolicapitellicellettemaestà) la cui realizzazione, oltre che costituire punti di riferimento scandendo i tempi di percorrenza (p.es., recitando un numero prestabilito di “rosari”), rispondeva non solo all’esigenza di ricordare al passante la presenza protettiva e costante della divinità ma svolgeva anche una funzione apotropaica. Spesso recanti epigrafi con preghiere, sollecitazioni o riferimenti ad avvenimenti accaduti, oggi hanno un valore legato al loro significato documentario. Se la costruzione di manufatti di significato religioso a fianco dei sentieri affonda le radici nell’antichità, il culto sacrale della montagna e delle sue acque è stato sempre presente in tutte le società pastorali. A partire dalla fine del XIII secolo grandi croci furono erette su vari valichi alpini, ma molte tradizioni rituali giunte fino a noi si possono ritenere derivate dai culti longobardi (ben insediati anche in diverse aree appenniniche tosco-romagnole e già dai secoli VII e VIII ormai aderenti al cattolicesimo), tra cui i festeggiamenti sulle sommità delle alture e degli stessi luoghi degli antichi riti pagani, con probabile apposizione di croci, senza dimenticare gli allineamenti delle enigmatiche statue-stele conficcate nel terreno, risalenti all’Età del Rame (Eneolitico), rappresentanti immagini di entità protettrici o personaggi reali, poste con vario significato lungo grandi valli di collegamento ed in zone montane in corrispondenza di importanti vie di comunicazione preistoriche tra varie zone asiatiche, europee, l’arco alpino e, in particolare, le tipiche delle aree cerimoniali della Lunigiana, come l’allineamento che si immagina esistesse quasi 5000 anni fa, sulla sella del Monte Galletto e che non inaspettatamente ha recentemente restituito (marzo 2021) un reperto significativo (le statue-stele della Lunigiana spesso rappresentavano donne scolpite con il fine di “consolare” e “sedurre” i morti affinché non tornassero nel mondo dei vivi: la sessualità e la caccia erano infatti i due temi preponderanti dell’arte preistorica). Numerose croci di vetta furono posizionate in seguito su molte montagne delle regioni cattoliche tra la seconda metà del XIX secolo e la prima metà del XX, in particolare in concomitanza degli Anni Santi del 1900 e del 1950. A volte la presenza di una croce su un rilievo ne ha determinato il toponimo. La proliferazione di croci di vetta continua ancora oggi.

- In base alle note tecniche dell’I.G.M. se in luogo dell’anteposta l’abbreviazione “C.”, che presumibilmente compare quando si è manifestata l’esigenza di precisare la funzione abitativa, viene preferito il troncamento “Ca” deve essere scritto senza accento: se ne deduce che se compare con l’accento significa che è entrato nella consuetudine quindi nella formazione integrale del toponimo.

RIFERIMENTI    

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A. Polloni, Toponomastica Romagnola, Olschki, Firenze 1966, rist. 2004;

E. Rosetti, La Romagna. Geografia e Storia, Hoepli, Milano 1894;

P. Zangheri, La Provincia di Forlì nei suoi aspetti naturali, C.C.I.A.A. Forlì, Forlì 1961, rist. anast. Castrocaro Terme 1989;

Piano Strutturale del Comune di Bagno di Romagna, Insediamenti ed edifici del territorio rurale, 2004, scheda n. 231;

Carta Escursionistica scala 1:25.000, Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, S.E.L.C.A., Firenze

Parco nazionale delle foreste casentinesi. Carta dei sentieri 1:25.000, N.20, Monti editore, 2019;

Regione Toscana – Progetto CASTORE – CAtasti STOrici REgionali;

Pianta Geometrica della Regia Foresta Casentinesehttp://www502.regione.toscana.it/searcherlite/cartografia_storica_regionale_scheda_dettaglio.jsp?imgid=11479;

URL http://www.igmi.org/pdf/abbreviazioni.pdf;

URL www.mokagis.it/html/applicazioni_mappe.asp.

Percorso/distanze :

per sentiero non segnato che si stacca dal CAI 239 (sponda destra del lago di Ridracoli) nei pressi di Monte Palestrina

Testo di Bruno Roba - Il Castelluccio è raggiungibile dalla S.F. Grigiole-Poggio alla Lastra oltrepassando la sbarra alle pendici del Monte Moricciona e, dalla pista che raggiunge Pratalino, scendendo ripidamente sul sentiero 235 CAI fino al Casone, km 2 dislivello 190 m; da qui occorre seguire l’antica via sulla dx della facciata del Casone (bolli rossi, per esperti) fino al pendio prativo ed eroso quindi discendere verso il Castelluccio, dal Casone 600 m ulteriore dislivello 60 m.

foto/descrizione :

Le seguenti foto sono state scattate da Bruno Roba, che ha anche inserito i testi, e qui riprodotte su autorizzazione dell’autore.

00a1/00a4 – Dal Monte Penna, panoramica sulla valle del Bidente di Ridràcoli con vedute ravvicinate sulla valle del Fosso Rogheta, versante tra i Monti Cerviaia e Palestrina e sul Castelluccio, che emerge oltre Poggio Fonte Murata (26/01/12 – 13/01/16).

00a5 – 00a6 - 00a7 – Dai pressi di Poggio allo Spillo, panoramiche sulla valle del Fosso Rogheta, con indice fotografico degli insediamenti del versante Est (2/07/20 – 10/05/21).

00b1/00b6 - Da Poggio Fonte Murata, scorcio del versante vallivo del Rogheta compreso tra i Monti Palestrina e Cerviaia, segnato dalle aree disboscate degli appoderamenti e conseguenti fenomeni erosivi arginati dagli impianti restaurativi di conifere (19/06/20 – 31/03/21).

00c1/00c4 - Dal Monte Moricciona e dalla pista che raggiunge Pratalino ed oltre verso il M. Palestrina (sentiero 235 CAI), panoramiche sulla valle del Fosso Rogheta e vedute ravvicinate sulle aree degli appoderamenti, in particolare sul sito del Castelluccio (4/07/17 – 28/08/18).

00c5 – 00c6 – 00c7 – Dalla mulattiera che dal Casone conduceva a Cà di Rombolo, vedute delle aree in erosione conseguenti agli appoderamenti (6/11/15).

00d1 - 00d2 - Schema cartografico del bacino idrografico del Fosso del Molino evidenziante le aree sommerse dal bacino lacustre, con particolare del bacino del Fosso Rogheta.

00d3 – 00d4 - Schema da mappa catastale della prima metà dell’Ottocento evidenziante il sistema insediativo-infrastrutturale ed idrografico, con utilizzo della toponomastica originale, integrata a fini orientativi con i principali rilievi (identificati da utilizzo di grassetto nero). Particolare di mappa del Castelluccio, dove si vede la capanna adiacente alla strada, del tutto scomparsa e confronto schematico tra catasto antico e moderno da cui si rilevano le modifiche planimetriche e alla viabilità intercorse nel secolo frapposto.  

00e1/00e7 – Vedute dell’area degli appoderamenti nei pressi del Castelluccio (6/11/15 - 7/08/20).

00e8 - L’area poderale a valle del Castelluccio (6/11/15).

00e9/00e12 – Tratto della mulattiera che, proveniente dal Molino di Carpanone, guadato il Fosso Rogheta raggiungeva il Castelluccio per proseguire verso gli altri insediamenti (7/08/20).

00e13/00e23 – Ruderi del fabbricato principale; della capanna comparente nel catasto ottocentesco e posizionata accanto alla via non rimane traccia (6/11/15 – 7/08/20).

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