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La Lama

Tipo : bosco/area naturale
Altezza mt. : 694
Coordinate WGS84: 43 49' 52" N , 11 50' 16" E
Toponimo nell'arco di
notizie :

prato e un paio di edifici della forestale, rifugio non presidiato

Testo di Bruno Roba (10/2017 - Agg. 11/03/20)

Nel contesto del sistema orografico del versante emiliano-romagnolo dell’Appennino Settentrionale, la Valle del Fiume Bidente di Ridràcoli riguarda un ramo intermedio del Bidente delimitato: ad Ovest, dall’intero sviluppo del contrafforte secondario che si distacca da Poggio Scali e che termina a monte di Isola costretto dalla confluenza del Fiume Bidente di Ridràcoli nel Fiume Bidente di Corniolo; ad Est, dall’intero sviluppo del contrafforte secondario che si stacca da Poggio allo Spillo e si conclude sul promontorio della Rondinaia a valle di Isola, costretto dalla confluenza del Fiume Bidentino o Torrente Bidente di Fiumicino nel Fiume Bidente.

Il bacino idrografico, di ampiezza molto superiore rispetto alle valli collaterali e che vede il lago occupare una posizione baricentrica con l’asta fluvio/lacustre F.so Lama/invaso/Fiume Bidente posizionata su un asse mediano Nord-Sud, mostra una morfologia caratterizzata da una articolazione di crinali e controcrinali convergenti sull’asse fluviale. Se dalla diversa giacitura e disgregabilità dell’ambiente marnoso-arenaceo, negli alti versanti conseguono sezioni vallive a “V” e nei fondovalle, specie dove essi si fanno più tormentati, profondi e ristretti, si formano gole, forre, financo degli orridi, con erosioni fondali a forma c.d. di battello, mentre i tratti più ripidi dei rilievi mostrano la roccia denudata, gli imponenti crinali secondari dei versanti a monte del lago, nel convergere verso il baricentro lacustre, delimitano aree di importante contributo idrografico e mostrano una continuità morfologica con il versante esposto a settentrione dove, specie nella parte a ridosso delle maggiori quote dello Spartiacque Appenninico (la c.d. bastionata di Campigna-Mandrioli), si manifestano fortissime pendenze modellate dall’erosione e dal distacco dello spessore detritico superficiale con conseguente crollo dei banchi arenacei, lacerazione della copertura forestale e formazione di profondi fossi e canaloni fortemente accidentati, talvolta con roccia affiorante (Frana Vecchia, 1950, e Frana Nuova, 1983-1993, sempre attiva, di Sasso Fratino). 

Se l’intero sistema dei crinali, nelle varie epoche, ha avuto un ruolo cardine nella frequentazione del territorio, in epoca romana i principali assi di penetrazione si spostano sui tracciati di fondovalle, che tuttavia tendono ad impaludarsi e comunque necessitano di opere artificiali, mentre i percorsi di crinale perdono la loro funzione portante, comunque mantenendo l’utilizzo da parte delle vie militari romane, attestato da reperti. Tra il VI ed il XV secolo, a seguito della perdita dell’equilibrio territoriale romano ed al conseguente abbandono delle terre, inizialmente si assiste ad un riutilizzo delle aree più elevate e della viabilità di crinale con declassamento di quella di fondovalle. Lo stato di guerra permanente porta, per le Alpes Appenninae l’inizio di quella lunghissima epoca in cui diventeranno anche spartiacque geo-politico e, per tutta la zona appenninica, il diffondersi di una serie di strutture difensive, anche di tipo militare/religioso o militare/civile, oltre che dei primi nuclei urbani o poderali, dei mulini, degli eremi e degli hospitales. Percorrendo oggi gli antichi itinerari, gli insediamenti di interesse storico-architettonico o di pregio storico-culturale e testimoniale, esistenti, abbandonati o scomparsi (quindi i loro siti) che si trovano collocati lungo i crinali insediativi sono prevalentemente di carattere religioso o difensivo o sono piccoli centri posti all’incrocio di percorsi di collegamento trasversale; gli insediamenti di derivazione poderale sono invece ancora raggiunti da una fitta e mai modificata ramificazione di percorsi, mulattiere, semplici sentieri (anche rimasti localmente in uso fin’oltre metà del XX secolo, come p.es. testimoniano i cippi stradali installati negli anni ’50 all’inizio di molte mulattiere, così classificandole e specificandone l’uso escluso ai veicoli; alcune strade forestali verranno realizzate solo un ventennio dopo).

Dopo la confisca del vasto feudo forestale da parte della Repubblica di Firenze a danno dei conti Guidi, la selva del Castagno e la selva di Casentino ovvero di Romagna che si chiama la selva di Strabatenzoli e Radiracoli tra il 1380 e il 1442 furono donate (il termine contenuto in atti è “assegnato in perpetuo”; A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 15-16, cit.) all’Opera del Duomo di Firenze che, per oltre quattro secoli si riservò il prelievo del legname da costruzione e per le forniture degli arsenali di Pisa e Livorno, di quelli della Francia meridionale oltre che per l’ordine dei Cavalieri di Malta; forniture riguardarono anche il mercato romagnolo utilizzando il Bidente per il trasporto. Per ricavare alberi di maestra delle maggiori dimensioni (28 m di altezza) occorrevano abeti plurisecolari di almeno 40 m. (un esemplare di albero di maestra si trova a Campigna). Il depauperamento per i tagli, legittimi ed abusivi, anche conseguenti alla progressiva antropizzazione del territorio con incremento di appoderamenti per colture e pascoli realizzati con la pratica del ronco, portò la foresta a ridursi alle zone più impervie delle testate vallive. Dal 1838, con il passaggio alle Reali Possessioni granducali delle aree forestali finora dell’Opera (e, dal 1857 al 1900, in parte come proprietà diretta del Granduca) e grazie alla riorganizzazione tecnico-amministrativa dell’ingegnere forestale di origine boema Carlo Siemoni, poi dal 1866, a seguito della soppressione degli ordini religiosi ed il passaggio al Regio Demanio, principiarono notevoli ripensamenti gestionali (per l’importazione di massicce quantità di piantine e di sementi oggi non è possibile distinguere l’ecotipo appenninico locale dall’ecotipo continentale della Boemia, fatta eccezione per le piante di età superiore a 180 anni). Però solo a partire dal 1914, nuovamente accorpato e affidato in proprietà e gestione diretta al Demanio dello Stato, il patrimonio forestale ha visto iniziare quell’opera di conservazione e di miglioramento che ha portato al conseguimento di obiettivi insperati. Con l’abbandono della montagna nel secondo dopoguerra, constatata l’impossibilità politica ed economica del sostegno di forme di agricoltura basate sull’autoconsumo, si è reso possibile il perseguimento degli obiettivi di conservazione degli habitat naturali. Così oggi, le aree montane dell’alta valle del Bidente e vaste aree submontane, oltre ad altre adiacenti al Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, in gran parte di proprietà demaniale, si trovano inserite nella rete Area Natura 2000 con tre siti per le caratteristiche di seguito riassunte: Foresta di Campigna, Foresta la Lama, Monte Falco, uno dei più importanti e studiati della regione, santuario della conservazione naturalistica a livello nazionale e internazionale che comprende la Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino, caratterizzato dalle foreste millenarie di Faggio e Abete bianco, dai vaccinieti e praterie secondarie con relitti alpini di grande significato fitogeografico, gli unici dell'Appennino romagnolo, e da alcune specie mediterraneo-montane, alcuni dei primi e le seconde rispettivamente al limite meridionale e al limite settentrionale del loro areale distributivo, che ricoprono quasi fino in vetta il tetto della Romagna; Monti Gemelli, Monte Guffone e Rami del Bidente, Monte Marino che si estendono dalle parti alte dei bacini fluviali fino al corso inferiore dei tre rami ed alla loro confluenza, comprendendo il lago di Ridracoli, siti caratterizzati da boschi naturali, rimboschimenti, pascoli in generale regresso per progressivo abbandono delle pratiche zootecniche tradizionali, praterie cespugliate ed arbusteti a Ginepro per lo più derivanti dalla rinaturalizzazione di ex-coltivi ed ex-pascoli, che diventano garighe su versanti esposti, oltre a zone rupestri e plaghe rocciose; completano il quadro relativo a un territorio relativamente poco antropizzato gli ambienti fluvio-ripariali dei corsi torrentizi dei tre Bidente, dai noti aspetti geomorfologici e geotettonici, più largo “Corniolo”, più incassato “Ridracoli”, più mosso e variato “Pietrapazza”, ma in un contesto ripariale appenninico abbastanza simile, caratteristico e ben conservato.

Per approfondimenti ambientali e storici si rimanda alla scheda toponomastica Valle del Bidente di Ridràcoli.

In questo ambito si colloca La Lama, già Pian della Lama, pressoché al centro della Macchia di Santa Maria del Fiore, una “enclave” paesaggistica riconosciuta tale già dal XIX sec. … : «Cavalcando […] vidi […]. La foresta dell’Opera sulla pendice precipitosa verso Romagna era manto a molte pieghe dell’Appennino, al lembo di quel manto apparivano le coste nude del monte […] nel fondo della valle del Bidente una macchia nera nell’Appennino, al certo foresta d’abeti d’importanza […] Desioso di conoscerla presi la via di Ridracoli, vidi poco dopo distendersi alli occhi la scena selvosa nelle pieghe d’Appennino […] poi vidi la via spianarsi in una valletta verde, profonda cinta da antica altera foresta che un ruscello bagnava, e disse la guida Giovannetti essere la valle della Lama e il fosso chiamarsi della Sega […]» (Leopoldo II di Lorena, Le memorie, 1824-1859, in G.L. Corradi, O. Bandini, 1992, p.78, cit.), … ma soprattutto dalla metà del XX: «[…] una perla paesaggistica per se stessa e per la vista di un ampio anfiteatro che vi si apre a rappresentazione prospettica ideale del bosco antico. Con le balze rocciose ancora abitate dall’aquila, con le estese faggete ad orlo del crinale appenninico, con il sottostante bosco misto di abeti e faggi in alto e in basso di querce, olmi, tigli e carpini. […] A metà degli anni ’50 La Lama era ancora un luogo molto frequentato da bovari, boscaioli, camionisti e operai addetti alle varie manutenzioni di fabbricati e strade. Esisteva ancora una vecchia linea telefonica di 20 chilometri, con gli apparecchi a manovella, che la collegava alla stazione forestale di Badia Prataglia, al mondo esterno. […] C’era perfino un’osteria dove gustare […] specialità gastronomiche […] di un luogo che […] si poteva chiamare […] della Romagna toscana. […] per ricostituire il ricco patrimonio faunistico dell’anteguerra […] Fin dagli anni ’50 del secolo scorso vi era stato costruito un ampio recinto per la reintroduzione degli ungulati […] sterminati durante l’ultima guerra. […] All’interno del recinto si trovava un capanno per conservarvi il foraggio invernale. Esso fu trasformato in un punto di osservazione […]» (F. Clauser, 2016, pp. 58-61, cit.). Diversa la visione economicistica di una lunga relazione del 1652 presentata direttamente al granduca contenente una molto precisa descrizione dei luoghi e della qualità delle piante presenti nelle foreste dell’Opera, «[…] nella Lama scendemmo per la via de’ Mal Passi luogo che è pieno di faggi et a ragione si chiama con questo nome. È la Lama in un piano a cui verso il Giogo sovrasta un altissimo monte che si dice la Penna con una spiaggia che si dice i Beventi luoghi tutti coperti per lo più di faggi non d’abeti e in quel piano particolarmente dove già era un gran lago si vede poco altro che faggi, ontani, vetrici e canne e faggi parimente su per le coste d’attorno. L’Opera havendovi già tenuto i suoi conduttori molti anni che per far legni quadri vi tagliarono tutti gli abeti buoni […]. Non si deve dunque pensare a farvi strade per legni tondi quando anco si facessero comodamente e con modesta spesa perché non sono in questi paesi  ne pochi ne alcuni abeti buoni per le galere […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 270, cit.).

La Lama è classificata Geosito di rilevanza locale per le note caratteristiche di ripiano di origine alluvionale per riempimento di antico bacino lacustre, con formazione di torbiera, originatosi per sbarramento della valle ad opera di un’imponente frana che, staccatasi da Poggio Fonte Murata in epoche storiche, ostacolò il regime idraulico dei Fossi degli Acuti, dei Fangacci o del Mascherone, delle Ripe e dei Forconali che, direttamente o indirettamente e provenienti dai rilievi circostanti (i Poggi Cornacchia e Fonte Murata, il Monte Penna e il tratto di arcata spartiacque dal pianoro di Prato al Soglio a Poggio allo Spillo e ai Passi della Crocina e della Bertesca), appartengono al bacino idrografico del Fosso della Lama. «[…] origini delle acque […] del Fiume Lama che va in quello di Santa Sofia e prende altre acque sino di là dalla Fonte al Sasso» (F. Mazzuoli, Veduta dell’Appennino …, 1788, BNCF, G.F. 164, in: M. Sorelli, L. Rombai, 1992, p.50; N. Graziani, 2001, vol. II, p.875; cit.). Autori e cartografia discordano se il Fosso della Lama trovi origine direttamente dal tratto di Spartiacque compreso tra Prato al Soglio e il Gioghetto, come dalla cartografia regionale (è riconoscibile la sua autonoma ramificazione, altrimenti anonima salvo che nel Catasto Toscano del 1826-34, quando era detto Fosso dell’Abetaccio), o sia generato dai Fossi degli Acuti e dei Fangacci come nella Carta d’Italia I.G.M. di primo impianto (1937) in scala 1:25.000, Foglio 107 II, o si estendesse a quest’ultimo come nel Catasto Toscano e nella Carta d’Italia di primo impianto (1893-94) in scala 1:50.000, Foglio 107, o abbia origine a Pian della Lama, ipotesi incoerente, generato dai Fossi dei Fangacci e dei Forconali: «In passato era denominato fosso de La Lama anche il tratto a monte fino alla confluenza del fosso degli Acuti con quello dei Forconali (v. CARTA D’ITALIA dell’I.G.M. Foglio 107 II). È il fosso dei Gamberi, di cui parla il Beni nella sua guida del 1908.» (G. Chiari, 2010, nota 11 p. 13, cit.). Ma non è esatta tale citazione dell’I.G.M. Anche nell’ulteriore cartografia antica compaiono discordanze: in una mappa della Romagna Toscana Pontificia del 1830-1840 il Fosso della Lama si identifica con l’odierno Fosso dei Fangacci, ma nella Pianta Geometrica della Regia Foresta Casentinese del 1850 tale tratto alto è il Fosso dei Fondi, mentre solo il tratto a valle è identificato come fosso topico; in questa mappa con l’idronimo dei Gamberi viene invece indicato un fosso che passa dalla Fonte Solforosa, mentre Alla Fonte Grattugia è la caratteristica denominazione di quel ramo del Fosso della Lama che raggiunge lo Spartiacque (tali mappe sono conservate presso il Nàrodni Archiv Praha). Ulteriori Geositi di rilevanza locale che caratterizzano questo tratto di bacino sono, il Monte Penna che, forse per dislocazioni recenti lungo fratture sub verticali, emerge invadente in quel fondovalle rispecchiando nella morfologia asimmetrica la giacitura a reggipoggio degli strati e consentendo dalla sua vetta la vista dell’intero bacino idrografico fino al Lago di Ridràcoli, e la Fonte Solforica della Lama, posta lungo la strada del Cancellino e più nota come Fonte Solforosa, caratterizzata da una fontana in conci di arenaria da cui esce una sorgente molto copiosa dove colonie di solfobatteri formano una mineralizzazione solforosa; accanto ad essa si trova una seconda sorgente posta all’interno di un chiostro votivo ma producente minori depositi bianchi. «Ricca di sorgenti, di fonti […] anche la montagna tosco-romagnola è stata scenario fin dall’antichità di manifestazioni di culti idrici, basati sulla credenza del potere magico delle acque sgorganti dal ventre della terra, simboli e strumenti di potere delle divinità ctonie [collegate con la vita terrestre o sotterranea, ndr], lasciandone traccia in toponimi … a Bagno di Romagna la leggenda attribuisce a Sant’Agnese e al suo cagnolino il ritrovamento delle acque termali: l’animale cominciò a razzolare con le zampe in un certo luogo facendo scaturire le acque miracolose che sotto vi scorrevano, le quali risanarono la santa […]. Nei pressi dei prati della Foresta della Lama […] sgorga una fonte che viene denominata Bagno o Pozza della Troia dalle meravigliose proprietà terapeutiche apprezzate forse fin da epoca preromana, viste anche le numerose tracce di frequentazione antica della zona. Si racconta, infatti, che una scrofa affetta da una malattia della pelle, dopo essersi immersa in quelle acque, ne fosse uscita inaspettatamente risanata: da quel momento prese avvio il pellegrinaggio […] per quanti erano affetti da malattie cutanee e da reumatismi.» (E. Casali, 2001, vol. I, p. 412, cit).

Idronimo molto diffuso ed utilizzato per indicare una depressione del terreno con ristagno d’acqua, un piano acquitrinoso, derivante dal latino classico lama, -ae = acquitrino, pantano, che può avere anche il significato di fianco scosceso di un poggio e in geologia un movimento plastico di terreno superficiale imbevuto d’acqua, nonostante le antiche frequentazioni, il termine Lama si trova documentato per la prima volta solo nel 1605 nel verbale, custodito nell’archivio dell’Opera del Duomo di Firenze, di una “visita” eseguita da un “Operaio” da cui si rileva che a tale data ancora esisteva un Lago della Lama, residuo dell’antico bacino lacustre, anche se in fase di riempimento ed impaludamento, ed esisteva una sega idraulica (posta a monte di tale lago dal lato dei Forconali): «Visita fatta questo dì Primo Ottobre 1605 da messer Bastiano del Pace operaio […]. Anchora s’è visitato la Lama dove è il lago delle trote e dove anchora vi è la sega de palchoncelli che la fa il Moro guardia quale sega sta bene et non ha bisogno di cosa alcuna et il lago harebbe bisogno d’essere netto mediante l’herba che drento vi nasce che a poco a poco lo va riempiendo di poi ce ne siamo venuti  per la strada dove vengono li buoi con i legni per trainare quale strada è assai buona e non ha bisogno di cosa alcuna. Anchora la piena ha portato via il muro che si fece due anni fa che è dietro al nostro palazzo e però è necessario porvi rimedio perché a poco a poco andrebbe rodendo la terra con assaissimo detrimento di detto palazzo […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 224-226, cit.). Da un accurato elenco relativo al 1637 risulta: «1637 – Nota dei capi dei beni che l’opera è solita tenere allivellati in Romagna e Casentino e sono notati col medesimo ordine col quale fu di essi fatta menzione nella visita generale che ne fu fatta l’anno 1631: […] 68) Fonte Murata, sopra il lago della Lama, terre tenute da Biagio di Luca detta il Moro guardia. Seguita di tenerle come guardia della Lama e non se ne tien conto perché non se ne paga cosa alcuna […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 412, cit.). Nel 1655 Pierantonio, il figlio del Moro, abita ancora a S. Martino a Monte presso Lierna (Poppi - AR): «[…] Pierantonio di Biagio detto il Moro da Lierna, guardia col marchio con obbligo di abitare a Monte in Casentino ove abita di presente.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 53, cit.) e una Casa di Guardia viene costruita solo nel 1663 (accanto alla sega idraulica), che il verbale di una “visita” del luglio 1663 documenta in costruzione: «Lunedì 13 […] ce ne andammo alla volta della Lama […] per una lunga e cattivissima strada che dopo essere stato qualche giorno senza piovere si trovò di cattivi passi et in particolare nel lago della Lama che le povere bestie vi rimanevano quasi ritte benché scariche e si arrivò alla casa della Lama che di presente si fabbrica quale a mio giudizio sta benissimo et ancora è assai avanti detta muraglia che manca solo da mettere in pari tutta solo da due bande incirca a un braccio di muro e poi si potrà mettere le trave del tetto e sta bene a meraviglia benché da molti non sia troppo lodata perché non ve la vorrebbono et li vole dare una gran noia loro perché nel mezzo della macchia che possano sempre dubitare che vi sia qualche guardia a rompere i loro disegni di far danno […].» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 313-314, cit.). Riguardo al lago è interessante ricordare che era ricco di trote la cui pesca era però bandita e riservata alle mense signorili, come si rileva da una lettera giungente da Firenze nel 1619 per un certo Antonio Capacci che ordina: «[…] vadia a pescare le trote nel fiume della Lama e tutte quelle che saranno di 80 denari in là si portino a Firenze e le altre minori si mettino nel lago della Lama (era stato fatto artificialmente, a monte della casa delle guardie, per alimentare la sega ad acqua) e facciasi diligenza maggiore nel pigliarne più che si può si per mettere in detto lago, come per mandare a Firenze e quelle che hanno a venire a Firenze fa che sieno per venerdì a buon’ora […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 138, cit.). Alla Lama sia nel Seicento ma ancora a metà del Settecento non esistevano appoderamenti né ricoveri per il bestiame, che veniva tenuto allo stato brado, così come risulta da una lettera del 1762, inviata dagli addetti al trasporto del legname al Provveditore dell’Opera, che si ritengono danneggiati dal bestiame dell’Opera che circolando liberamente nei boschi sottrae pastura ai buoi utilizzati per il traino: «[…] non v’è restata erba da poter far pascere i nostri buoi venendo di continuo danneggiata da qualunque sorta di bestiame […] non possiamo più tirare alcuna sorta di legname state che senza mangiare i bovi non tirano. Detti danni sono ancora nella Lama e nel Sasso di Bosco di dove il bestiame non esce mai […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 60, cit.). Nella citata Pianta Geometrica della Regia Foresta Casentinese a Pian della Lama compare una Gavina dei Bovi nell’area adiacente alla casa forestale (N.B.: il termine antico “gavina” deriva da “cavina” che, con il significato di “fosso, canale di scolo, fogna”, si addice bene al luogo, già notoriamente impaludato ed evidentemente ben “concimato” dal bestiame; sul versante opposto, un affluente del fosso principale, proveniente da P.gio Cornacchia e allora detto Gavina di Lierna, porta a trovare un ulteriore riferimento anche al sopracitato soprannome della guardia che nel Seicento era comandata alla Lama).

Gli edifici che ancora oggi si vedono del Baraccone ed un retrostante annesso agricolo, collocati su un pendio, non lontano da una chiesetta in stile alpino risalente al 1958, sono strutture ottocentesche del primo insediamento colonico dovuto alla gestione Siemoni, per ospitare il contadino e come moderna casa della guardia. Quindi solo nella seconda metà dell’800 si può considerare l’esistenza di un podere con casa (condotto dalla famiglia Goretti, sostituita dal 1905 dalla famiglia Stefani, quando conviveva nello stesso fabbricato con la famiglia della guardia Montalti). Al Siemoni si deve anche la sostituzione (1843) della segheria con una più moderna ed alimentata da due canali derivati dai Fossi degli Acuti e dei Forconali, quindi spostata più a valle (N.B.: per cui allora era chiamato Acuti anche l’ultimo tratto del Fosso dei Fangacci), ma circa un decennio dopo era stata già distrutta da un incendio e non ricostruita. Sul luogo della vecchia sega venne costruita una Vetreria la cui attività diede origine ad un villaggio di baracche per i numerosi operai (fino a 50), con chiesa e macelleria, oltre ad un’osteria, che Clauser racconta esistente ancora a metà degli anni ’50, probabilmente insieme ad altre strutture del villaggio, tranne la vetreria e la casa della guardia, edifici ancora documentati e fotografati nel 1915, ma probabilmente distrutti per incendio o dal forte terremoto che nel 1918 interessò tutta l’area e soprattutto Santa Sofia. Degli incendi rimase memoria nella Pianta Geometrica sopracitata dove i toponimi Bruciatina e La Bruciatina indicano aree a ridosso del M. Penna (Poggio alla Penna), lati Nord e Ovest, mentre il rilievo posto a monte della confluenza tra i Fossi degli Acuti e dei Fangacci (degli Acutoli e dei Fondi) era detto Poggio Foco. Nell’immediato dopoguerra verrà costruita la nuova Casa forestale. Gli edifici pre-ottocenteschi si limitano quindi alla segheria e al c.d. nostro palazzo documentati per la prima volta nel 1605, oltre alla Casa di Guardia documentata in costruzione nel 1663. Dalla descrizione del 1605 risulta che il “palazzo” doveva evidentemente trovarsi su un rilevato, appunto sostenuto dal citato muro franato, collocazione presumibile considerato l’ancora esistente impaludamento dell’area, mentre gli edifici scomparsi risalenti al XIX secolo (che si vedono rappresentati in alcune foto d’epoca) erano collocati nel piano ormai risanato tanto da poterli ospitare. Oltre a quello seicentesco esistono a riguardo altri un altro documento coincidente e due documenti cartografici di rilievo. Anzitutto esiste la lunga, circostanziata e consapevole descrizione che fa un profondo conoscitore dei luoghi della Lama, basata non su fuggevoli ricordi conseguenti ad una episodica frequentazione ma su una consolidata esperienza di vita iniziata con l’adolescenza e proseguita negli anni di lavoro; questo è un breve stralcio: «Nell’anno di guerra 1942, fra gli undici e i dodici anni di età mi fu concesso di andare a piedi, ogni giorno per una settimana, da Badia Prataglia alla Lama […]. Nel piano della Lama, che non era affatto un villaggio, ma l’abitato di tre famiglie per tutto l’anno nel vecchio lungo casolare ancor oggi esistente e nella bella “palazzina” delle cacce granducali, in stile cinquecento toscano (purtroppo fatta saltare durante la guerra dai tedeschi), si scorgevano qua e là coltivazioni di patate. […] Da Badia, in circa un’ora e mezzo di buon passo montanaro, superando lo spartiacque appenninico, si giungeva alla Lama; […] Lungo lo Scalandrino, su piccoli spiazzi, sempre lavoravano antichi artigiani di Moggiona […]. Alla fine dei dirupi dello Scalandrino […] dopo la stretta, scala di pietra lavorata, addossata al macigno incavato alla base e protetta a valle dal consumato e oscuro scorrimano di avorgnolo, appariva ampia ed accogliente la vecchia Via dei Legni. […] Io ripensavo al precedente ottobre quando, con il vecchio camioncino, tornavamo dalla Lama, mio babbo il Chiécche ed io. […] Negli anni del dopo guerra iniziai ad inoltrarmi dentro le prime stupende vallate che vanno dalla Lama verso la Bucaccia […]» (P. Bronchi, 1985, pp. 129-138, cit.) (Bronchi, che conobbe e frequentò quei luoghi fin da giovanissimo sotto la guida del padre, tra l’altro poi diresse l’Ispettorato Forestale della Provincia di Forlì). Un documento cartografico di grande rilievo, custodito presso il Nàrodni Archiv Praha (Archivio Nazionale di Praga: Archivio Asburgo Lorena di Toscana) è la Pianta Geometrica dei Terreni assegnati alla Sega a Aqua, costruita dai Signori Fratelli Wital di Firenze nella Ra Foresta Casentinese nell cosi detto Pian della Lama, datata dicembre 1846, disegnata (e sottoscritta) con grande cura dei dettagli da Carlo Siemoni. Nella mappa, in scala 1:1250, sono rappresentati tutti accompagnati da didascalie o sigle alfabetiche, oltre alla viabilità ed ai corsi d’acqua, la nuova segheria realizzata dal Siemoni con i due canali di alimentazione derivanti dai Fossi della Lama e dei Forconali, la vetreria, il villaggio di capanne degli operai, un edificio posto a metà del viale dei tigli e un piccolo edificio posto ad Ovest del villaggio degli operai senza didascalia, la capanna del magazziniere, il lungo edificio del Baraccone ed un altro edificio vicino sul sito dell’attuale chiesetta: questi due ultimi sono disegnati a matita senza didascalia come pure a matita compaiono numerosi appunti e segni sia su tutti gli altri edifici citati e disegnati a penna sia su tratti viari o corsi d’acqua, simboleggianti una modifica o demolizione, segni che potrebbero essere stati eseguiti successivamente dimostrando un utilizzo nel tempo della stessa mappa. Tranne gli edifici disegnati a matita e la vetreria, tutti gli altri sono posti nel piano tra l’odierna Casa forestale e la Fonte di Francesco. L’altra documentazione utile è la cartografia storica I.G.M. aggiornata al 1937 dove, oltre alla simbologia grafica dei ruderi riportata in corrispondenza del toponimo C. della Guardia, accanto al toponimo la Lama compaiono due fabbricati (con la simbologia di “Case in muratura”) posti accanto alla strada del Cancellino ma a quota superiore, infatti sotto di essi compare la simbologia di una scarpata; la posizione di questi fabbricati trova corrispondenza con la mappa del Siemoni. Riguardo l’identificazione del Baraccone le opinioni coincidono mentre riguardo l’altro fabbricato, esaminando la carta I.G.M., un altro studioso sostiene «In alto, accanto al baraccone, figura un edificio forse adibito a stalla (ove al presente è una chiesetta).» (G. Chiari 2010, p. 45, Figura 12, cit., con particolare della mappa) e riguardo il “palazzo” commenta: «[…] Attorno al 1854 […] la sega fu completamente distrutta […]. In seguito la vetreria cessò l’attività […]. A stare a quanto riporta BRONCHI (1985) risalirebbe a quest’epoca anche una “bella palazzina” delle cacce granducali, in stile cinquecento toscano, anche se al riguardo niente è stato possibile riscontrare.» (G. Chiari, 2010, p. 37, cit.). Denotato, a) che nelle lucide memorie del Bronchi non si rileva alcun riferimento temporale all’epoca di costruzione del fabbricato in questione, peraltro a lui ben noto e ben resocontato, b) che è documentato e concordemente certo che nel Sei–settecento il bestiame era tenuto allo stato brado e non disponeva di ricoveri, se tre indizi costituiscono una prova (e qui abbiamo quattro prove consistenti), non rimane che essere certi che su quel bel prato dove ora sorge la chiesetta si trovasse quella palazzina granducale di caccia in stile rinascimentale toscano, distrutta durante la guerra (stesso trattamento i tedeschi in ritirata riservarono alla chiesetta di Campigna, utilizzata come deposito di munizioni), documentata già esistente nel 1605 quando la caccia e pesca erano oggetto di riserva granducale. Al tempo del Siemoni si può far risalire il breve viale granducale alberato con noci e tigli, i cui resti ancora attraversano il piano (il tutto sul modello di quanto contemporaneamente realizzato a Campigna).

Ad oggi (2017), se il Baraccone, utilizzato fino al 1914, attende ancora un recupero e riutilizzo, l’annesso agricolo (nel 2010, come da data impressa) è stato ristrutturato con la realizzazione del Rifugio Tigliè, ricovero escursionistico dedicato al maresciallo forestale Alberto Tigliè, uno dei protagonisti nella creazione della Riserva di Sasso Fratino. Arrivando alla Lama si trova anche la Fonte di Francesco, dedicata all’ultimo comandante della casa forestale Francesco Bertinelli (quindi priva di riferimenti religiosi). Dalla documentazione storico-fotografica per i fabbricati scomparsi non pare riconoscibile alcun aspetto di rilievo; i fabbricati presenti sono stati riconosciuti di pregio storico-culturale e testimoniale. Riguardo l’aspetto infrastrutturale, si deve al Siemoni la prima modernizzazione della futura Strada degli Acuti, una Via dei legni, rettificando l’antico percorso di esbosco e di transumanza che raggiungeva e valicava il crinale al Gioghetto. L’uso del toponimo Acuti (segnalato da apposito cartello) oggi forse è consolidato a causa della presenza, a quota 1167 m, di un tornante strettissimo della rotabile moderna ma, come risulta dalla citata Pianta Geometrica della Regia Foresta Casentinese, nel 1850 Poggio Cornacchia era detto Poggio Acuti evidentemente per le sue spiccate caratteristiche morfologiche mentre accanto scorreva (scorre) il Fosso degli Acutoli tutti elementi cui relazionare l’oronimo e l’idronimo. Nell’adiacente località La Docciolina, l’antica via, di cui si trovano consistenti resti, risaliva con una fitta sequenza di strettissimi tornanti che toccavano La Cava dei Frati verso l’odierno Gioghetto quindi, superato l’Eremo, scendeva a Camaldoli tramite la c.d. Via Corta, gia Strada di Camaldoli, per poi percorrere la valle dell’Archiano fino a Soci. Attraversando il Gioghetto (Gioghicciolo nei documenti camaldolesi) il ravennate Romualdo nel 1024 (nel 1012 secondo la tradizione) giunse a Campo Amabile per fondare l’Eremo. Se nel XIX secolo, quando ancora non esisteva il moderno Passo dei Fangacci, un Gioghetto pare documentato solo in corrispondenza del passo poco più a monte sulle pendici di Poggio Tre Confini, ma detto Poggio Tre Termini, il tracciato che dalla Cava dei Frati si ricongiunge al Sent. 70 CAI che ridiscende verso l’Eremo confermerebbe la tradizione storico-religiosa; tale strada, unica rappresentata nelle mappe antiche, dovrebbe coincidere con la Via dei fedeli di S. Romualdo, come confermano alcuni Autori: P.L. della Bordella: «[…] per salire all’Eremo (Campo Amabile), i pellegrini romagnoli, S. Ambrogio di Milano e Leopoldo II Granduca di Toscana, percorrevano la Via dei fedeli di San Romualdo che da Santa Sofia, per Ridracoli, la Seghettina e la Lama, sale al Gioghetto per ridiscendere al sottostante Eremo.» (2004, p. 190, cit.); F. Pasetto: «[…] ricordiamo, in particolare, il Gioghetto, attraverso il quale il ravennate san Romualdo scese a Campo Amabile […]» (2008, p. 207, cit.). Della Pianta Geometrica del 1850 citata esistono due diverse mappe, una relativa allo stato di fatto al 1837, dal cui confronto è possibile rilevare le modifiche del tracciato realizzato dal Siemoni che spostò più a valle il tratto quasi rettilineo verso Piano delle Malinotti (Pian delle Malenotti) evitando gli stretti tornanti tra La Docciolina e la Cava dei Frati. La pista proseguiva poi per Prato al Soglio/Giogo Seccheta e per Sodo alla Calla (Sodo alle Calle), tramite la Strada delle Pulci (così soprannominata dagli addetti al traino del legname per la noiosità del lungo tragitto in salita), riuscendo a diminuire i disagi per il trasporto delle pezzature maggiori: il tratto stradale presso la Fonte di Antonio dovrebbe corrispondere a detta rettifica mentre il tratto tra Acuti e Gioghetto è opera moderna, infatti compare come “sentiero” nella cartografia IGM del 1937 come pure il tratto del Siemoni mentre il tratto di “mulattiera” termina poco più a valle. Tale differenza di classificazione appare evidente dal confronto con la Carta d’Italia di primo impianto dell’I.G.M. del 1893-94, dove compaiono i tracciati di rilievo. Nel primo trentennio del XX secolo La Lama venne quindi servita dalla notissima Ferrovia del Cancellino che operò, prima privatamente poi statalizzata, per l’esbosco di notevoli quantità di legname; la sede ferroviaria divenne poi strada forestale ed oggi è pubblicizzata come la pista cicloturistica forestale “più bella d’Italia”. Tra il 1935 e gli anni ’50 venne realizzata anche la strada forestale per Campo alla Sega poi fino a San Paolo in Alpe, con l’intento di estendere l’esbosco raggiungendo l’impervia e finora inutilizzata area di Sasso Fratino, impedito dall’operato della dirigenza forestale (F. Clauser) fino all’istituzione della riserva. Per alcuni decenni, fino alla chiusura del transito privato veicolare di tutte le strade forestali, la Lama disponeva di un’area di sosta ricreativa attrezzata e il Baraccone, reso utilizzabile, ospitava un punto di ristoro.

Un capitolo a parte riguarda l’impianto di specie esotiche eseguito all’epoca del Siemoni con la costituzione di un arboreto (Cedri, Abeti, Pini, Larici e Cipressi) posto oltre il Baraccone, purtroppo oggi (2015) piuttosto trascurato e con resti di una piccola discarica, e di altre specie secolari poste accanto e dietro il ricovero e le mangiatoie (una Sequoia gigante, due Thuie o Cedri giganti, due Cedri della California) e presso un tratto della recinzione (alcuni Ginepri della Virginia, forse ultimi di un filare) che ormai hanno raggiunto dimensioni ragguardevoli: non esistendo alcun tipo di segnaletica, occorre tentare l’esplorazione ed il loro riconoscimento (v. mappa e foto allegate).

 RIFERIMENTI   

A. Bottacci, La Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino, 1959-2009, 50 anni di conservazione della biodiversità, Corpo Forestale dello Stato, Ufficio territoriale per la Biodiversità di Pratovecchio, Pratovecchio, 2009;

P. Bronchi, Alberi, boschi e foreste nella Provincia di Forlì e note di politica forestale e montana, C.C.I.A.A. di Forlì (a cura di), Nuova Cappelli, Rocca S. Casciano 1985;

E. Casali, Aspetti e forme della cultura folclorica, in N. Graziani (a cura di), Romagna toscana, Storia e civiltà di una terra di confine, Firenze, Le Lettere 2001;

G. Chiari, La Lama. Nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Arti Grafiche Cianferoni, Stia 2010;

F. Clauser, Romanzo Forestale. Boschi, Foreste e Forestali del mio tempo, L.E.F., Firenze 2016;

G.L. Corradi, L’invaso di Ridracoli e l’acquedotto della Romagna; E. Casali, Aspetti e forme della cultura folclorica; in: N. Graziani (a cura di), Romagna toscana, Storia e civiltà di una terra di confine, Firenze, Le Lettere 2001;

P.L. della Bordella, Pane asciutto e polenta rossa, Arti Grafiche Cianferoni, Stia 2004;

M. Padula (a cura di), Le foreste di Campigna-Lama nell’Appennino tosco-romagnolo, Regione Emilia Romagna, Bologna 1988;

F. Pasetto, Itinerari Casentinesi in altura, Arti Grafiche Cianferoni, Stia 2008;

A. Polloni, Toponomastica Romagnola, Olschki, Firenze 1966, rist. 2004;

M. Sorelli, L. Rombai, Il territorio. Lineamenti di geografia fisica e umana; G.L. Corradi, O. Bandini, “Per quanto la veduta consenta di spaziare”. Scelta di testi dal XIV al XIX secolo; in: G.L. Corradi (a cura di), Il Parco del Crinale tra Romagna e Toscana, Alinari, Firenze 1992;

P. Zangheri, La Provincia di Forlì nei suoi aspetti naturali, C.C.I.A.A. Forlì, Forlì 1961, rist. anastatica Castrocaro Terme 1989;

Piano Strutturale del Comune di Bagno di Romagna, Insediamenti ed edifici del territorio rurale, 2004, Scheda n. 682;

Carta Escursionistica, Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, S.E.L.C.A., Firenze;

Carta dei sentieri, Foreste Casentinesi, Campigna – Camaldoli – Chiusi della Verna, Istituto Geografico Adriatico, Longiano 2012;

Carta dei sentieri, Comune di Bagno di Romagna, Istituto Geografico Adriatico, Longiano 2008;

Link https://servizimoka.regione.emilia-romagna.it/appFlex/sentieriweb.html;

Link:http://geo.regione.emilia-romagna.it/schede/geositi/;

Link:www.parcoforestecasentinesi.it/it/natura/biodiversità/flora.

Percorso/distanze :

raggiungibile per sterrata da Casanova dell'Alpe oppure da Cancellino di Badia Prataglia  (non consentito accesso ai mezzi motorizzati)

Testo di Bruno Roba

è raggiungibile tramite S.F. del Cancellino (sterrata di 20 km), in estate approfittando del servizio navetta, o in bicicletta. Il sito più vicino raggiungibile in auto è il Paretaio tramite le sterrate che transitano da Casanova dell’Alpe; una breve bretella collega con la S.F. del Cancellino riducendo a poco più di 11 km la distanza tra la sbarra e la Lama. È però interessante giungervi tramite la sentieristica dai passi appenninici o dal Lago di Ridràcoli, anche con avvicinamento tramite il battello elettrico.

foto/descrizione :

Le seguenti foto sono state scattate da Bruno Roba, che ha anche inserito i testi, e qui riprodotte su autorizzazione dell’autore.

Nota – Per visualizzare le foto nel loro formato originale salvarle sul proprio computer, oppure se il browser lo consente tasto destro sulla foto e Apri immagine in un’altra scheda.

001a – 001b – 001c - Dal sentiero degli Scalandrini, che segue l’incisione del Fosso dei Fangacci sul versante meridionale del Monte Penna, un particolare e noto scorcio visivo consente di traguardare l’intero asse fluviale Lama/Ridràcoli ed eventualmente individuare la chiesetta e i prati adiacenti al recinto di acclimatazione della fauna (8/09/2011 – 17/11/11 – 6/11/15).

 

001d/001g – Uno dei rari siti da cui si può scorgere dall’alto l’area della Lama è il Monte Penna, ma le recenti limitazioni non consentono alcuni scorci tra i varchi della vegetazione, che comunque si limitano alla chiesetta e ai prati adiacenti al recinto di acclimatazione della fauna (8/05/11 – 27/05/11).

 

002a/002l – Il “Pian della Lama” con le sistemazioni moderne e recenti e i resti del Viale dei Tigli (Tilia cordata, Tiglio selvatico) impiantato dal Siemoni (21/03/11 – 18/08/11 - 8/09/11 - 17/11/11 - 9/06/14 – 9/11/14 – 23/10/15).

 

002m – 002n – 002o – La Fonte di Francesco, dedicata all’ultimo comandante della casa forestale Francesco Bertinelli, e le spallette del ponticello con riutilizzo di spezzoni dei binari della dismessa Ferrovia del Cancellino (21/03/11 – 18/05/11).

 

003a/003m – Anche il Baraccone, di nuovo in stato precario, fu rinforzato con riutilizzo di spezzoni dei binari della dismessa Ferrovia del Cancellino, mentre l’adiacente ex annesso agricolo è stato restaurato e riadattato con la realizzazione del Rifugio Tigliè, ricovero escursionistico dedicato al maresciallo forestale Alberto Tigliè, uno dei protagonisti nella creazione della Riserva di Sasso Fratino (21/03/11).

 

003n/003q – La moderna cappella in stile alpino pare che non abbia dedica mentre sulla parete esterna si trova una lapide commemorativa (IL SILENZIO E L’OMBRA DELLA FORESTA DELLA LAMA FURONO COMPAGNI AL CAMMINO DEI GENERALI INGLESI CHE SFUGGITI ALLA PRIGIONIA ED OSPITATI E PROTETTI NEL CONVENTO DI CAMALDOLI NEL SETTEMBRE 1943 FURONO CONDOTTI DALLA MANO AMICA DI UN MONACO A SEGHETTINA E QUINDI DA UNA CATENA DI solidarietà DEI PATRIOTI FINO ALLE LORO LINEE. OTTOBRE 1984. LA PROVINCIA DI FORLì (21/03/11 - 9/06/14).

 

003r – 003s – 003t – Resti di murature all’inizio della Via degli Acuti e, poco più avanti, la Fonte di Regina (21/03/11).

 

003u – Schema di mappa relativo alla situazione al 1937 dedotto da cartografia storica IGM.

 

003v – Ricostruzione neografica dedotta dalla Pianta Geometrica dei Terreni assegnati alla Sega a Aqua, costruita dai Signori Fratelli Wital di Firenze nella Ra Foresta Casentinese nell cosi detto Pian della Lama, datata dicembre 1846, disegnata (e sottoscritta) con grande cura dei dettagli da Carlo Siemoni, custodita presso il Nàrodni Archiv Praha (cit.)

 

004a/004e – Il Monte Penna visto dalla Lama (21/03/11 - 17/11/11 - 5/05/15).

 

004f/004n – Dalla Lama, scorci sullo spartiacque appenninico, su Poggio Cornacchia, su Poggio Fonte Murata e verso le prime pendici della Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino delimitata dalla S.F. La Lama/Campo alla Sega (18/08/11).

 

004o – 004p - 004q – I ristagni e il lento scorrere delle acque evocano le origini del sito (21/03/11 – 9/06/14).

 

004r – Il manifesto del sito Natura 2000 (21/03/11).

 

005a/005p – Alberatura maestose vegetano nel Pian della Lama: Acer pseudoplatanus, Acero pseudo platano, Crataegus monogyna, Biancospino comune, Fraxinus excelsior, Frassino comune, Populus alba, Pioppo bianco, Salix alba, Salice bianco, Tilia cordata, Tiglio selvatico, Tilia platyphyllos, Tiglio a foglie larghe (9/06/14 - 5/05/15).

 

006a/006f – Risalendo dietro il Baraccone si trova l’indicazione per l’Arboreto curato dai figli del Siemoni anche con essenze esotiche, purtroppo trascurato e privo di cartellini identificativi. Nelle foto: Abies cephalonica, Abete greco, Larix decidua, Larice, Pinus nigra, Pino nero Il Pino del Siemoni (5/05/15).

 

007a/007f – Sul limite dell’ex recinto di acclimatazione della fauna selvatica vi sono alcuni esemplari (probabilmente in origine un filare) di Juniperus virginiana, Ginepro della Virginia (5/05/15).

 

008a/008q – Sul margine del recinto si trova un esemplare di Sequoiadendrum giganteum, Sequoia gigante fittamente ramificata ma purtroppo svettata da un fulmine, due esemplari di Calocedrus o Libocedrus decurrens, Cedro della California dalle grosse ramificazioni particolarmente contorte, e due esemplari di Thuia plicata, Cedro rosso gigante (21/03/11 – 5/05/15).

 

008r – Mappa schematica dei siti e delle emergenze ambientali di Pian della Lama

 

008s/008y – Risalendo lungo la Via degli Acuti si colgono suggestive emergenze ambientali, tra cui l’impronta fossilizzata di una rana (21/03/11).

 

009a/009q – Il fitto reticolo idrografico evidenzia la confluenza tra il Fosso degli Acuti e una ramificazione di fossi già detta Alla Fonte Grattugia e Fosso dei Gamberi, e, all’altezza del Sentiero degli Scalandrini superata da un’antica struttura pontiva, la confluenza del Fosso dei Fangacci da cui avrebbe origine il Fosso della Lama, caratterizzato da cascatelle. Ricevuto il contributo del Fosso dei Forconali, divenuto con certezza Fosso della Lama, al termine del piano il suo corso sprofonda improvvisamente (21/03/11).

 

010a/010d – Lo strettissimo tornante degli Acuti, visto anche dal margine di Pian delle Malenotti (2/02/11 – 21/03/11).

 

010e/010q – Il tratto ottocentesco della Via degli Acuti si riconosce anche dalla pezzatura lapidea irregolare delle strutture di sostegno e pontive e dall’anzianità delle alberature che vi si sono abbarbicate, in un ambiente caratterizzato da imponenti banchi arenacei dai quali, tra l'altro, sgorga la Fonte di Antonio (la segnala il cartello che emerge tra la neve) (21/03/11). 

 

010r – Dalle due versioni delle Piante del 1837 e del 1850 (elaborazione neografica) oltre all’esistenza di un fitto reticolo di percorsi si rileva la consistenza della “Variante Siemoni” che, spostando verso valle parte della sede viaria, permise di evitare una parte di stretti tornanti che risalivano il versante.

 

010s/010v - Resti del tracciato e del selciato dell’antica Via dei fedeli di S. Romualdo (12/06/17).

011a/011h – Lungo la S.F. del Cancellino, a circa 1,5 km dalla Lama, si trova la Fonte Solforica dove colonie di solfobatteri formano una mineralizzazione solforosa (18/05/11 – 9/06/14).

 

012a/012d – Lungo la S.F. del Cancellino, adiacente alla Lama e circa 3,5 km, si trovano la Croce Milanesi e la Croce Fabbri a commemorazione di eventi luttuosi (9/06/14 – 5/05/15).

 

013a/013e – Fiori e frutti della Lama: Hepatica nobilis, Anemone epatica, Epatica, Erba trinità, Sambucus nigra, Sambuco comune, Sambuco nero, Physalis alkekengi, Alchechengi comune, Coralli, Fisalide, Euonymus latifolius, Cappello da prete maggiore, Evonimo a foglie larghe, Fusaria maggiore (21/03/11 – 18/08/11).

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