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Maestā di San Paolo

inserita da Bruno Roba
Comune : Santa Sofia
Tipo : maestā
Altezza mt. : 1025
Coordinate WGS84: 43 52' 37" N , 11 47' 57" E
Toponimo nell'arco di
notizie :

Testo di Bruno Roba (28/10/2018)

Nel contesto del sistema orografico del versante emiliano-romagnolo dell’Appennino Settentrionale, l’Alta Valle del Fiume Bidente nel complesso dei suoi rami di origine (delle Celle, di Campigna, di Ridràcoli, di Pietrapazza/Strabatenza), assieme alle vallate collaterali, occupa una posizione nord-orientale, in prossimità del flesso che piega a Sud in corrispondenza del rilievo del Monte Fumaiolo. L’assetto morfologico è costituito dal tratto appenninico spartiacque compreso tra il Monte Falterona e il Passo dei Mandrioli da cui si stacca una sequenza di diramazioni montuose strutturate a pettine, proiettate verso l’area padana secondo linee continuate e parallele che si prolungano fino a raggiungere uno sviluppo di 50-55 km: dorsali denominate contrafforti, terminano nella parte più bassa con uno o più sproni mentre le loro zone apicali fungenti da spartiacque sono dette crinali, termine che comunemente viene esteso all’insieme di tali rilievi: «[…] il crinale appenninico […] della Romagna ha la direzione pressoché esatta da NO a SE […] hanno […] orientamento, quasi esatto, N 45° E, i contrafforti (e quindi le valli interposte) del territorio della Provincia di Forlì e del resto della Romagna.» (P. Zangheri, 1961, rist.anast. 1989, p. 9, cit.). L’area, alla testata larga circa 18 km, è nettamente delimitata da due contrafforti principali che hanno origine, ad Ovest, «[…] dal gruppo del M. Falterona e precisamente dalle pendici di Piancancelli […]» (P. Zangheri, 1961, rist.anast. 1989, p. 14, cit.) e, ad Est, da Cima del Termine. In quest’ambito, le Valli del Bidente di Campigna e del Bidente di Ridràcoli sono separate dal contrafforte secondario che si distacca da Poggio Scali e che, disegnata la sella di Pian del Pero ed evidenziata una sequenza di rilievi (i Poggi della Serra e Capannina, il Monte Grosso, l’Altopiano di S. Paolo in Alpe, Poggio Squilla, Ronco dei Preti, Poggio Collina e Poggio Castellina), termina digradando al ponte sul Fiume Bidente di Corniolo presso Isola, costretto dalla confluenza del Fiume Bidente di Ridràcoli. La morfologia dei rilievi, caratterizzata dalla diversa giacitura e disgregabilità dell’ambiente marnoso-arenaceo, specie nella parte alta dell’Appennino romagnolo dove le valli sono piuttosto strette, mostra una spiccata asimmetria dei versanti, con le dorsali digradanti verso i fondovalle piuttosto sottili e ripetutamente ondulate per l’emergere di basse cime, a volte in forma di tozze piramidi. Ogni rilievo spesso costituisce un nodo montano, dove a volte il contrafforte compie notevoli declinazioni di quota e orientamento, da cui si diramano ulteriori dorsali di vario sviluppo e consistenza geomorfologica.

L’intero sistema dei crinali, nelle varie epoche, ha avuto un ruolo cardine nella frequentazione del territorio. Già nel paleolitico (tra un milione e centomila anni fa) garantiva un’ampia rete di percorsi naturali che permetteva ai primi frequentatori di muoversi e di orientarsi con sicurezza senza richiedere opere artificiali. Nell’eneolitico (che perdura fino al 1900-1800 a.C.) i ritrovamenti di armi di offesa (accette, punte di freccia, martelli, asce) attestano una frequentazione a scopo di caccia o di conflitto tra popolazioni di agricoltori già insediati (tra i siti, Campigna, con ritrovamenti isolati di epoca umbro-etrusca, Rio Salso e S. Paolo in Alpe, anche con ritrovamenti di sepolture). In epoca romana i principali assi di penetrazione si spostano sui tracciati di fondovalle, che tuttavia tendono ad impaludarsi e comunque necessitano di opere artificiali, mentre i percorsi di crinale perdono la loro funzione portante, comunque mantenendo l’utilizzo da parte delle vie militari romane, attestato da reperti. Tra il VI ed il XV secolo, a seguito della perdita dell’equilibrio territoriale romano ed al conseguente abbandono delle terre, inizialmente si assiste ad un riutilizzo delle aree più elevate e della viabilità di crinale con declassamento di quella di fondovalle. Lo stato di guerra permanente porta, per le Alpes Appenninae, l’inizio di quella lunghissima epoca in cui diventeranno anche spartiacque geo-politico e, come per l’intero Appennino, il diffondersi di una serie di strutture difensive, anche di tipo militare/religioso o militare/civile, oltre che dei primi nuclei urbani o poderali, dei mulini, degli eremi e degli hospitales. Successivamente, sul finire del periodo, si ha una rinascita delle aree di fondovalle con un recupero ed una gerarchizzazione infrastrutturale con l’individuazione delle vie Maestre, pur mantenendo grande vitalità le grandi traversate appenniniche ed i brevi percorsi di crinale. Nel passato anche recente l’ambiente montano veniva visto soprattutto nelle sue asperità e difficoltà ed avvertito come ostile non solo riguardo gli  aspetti climatici o l’instabilità dei suoli ma anche per le potenze maligne che si riteneva si nascondessero nei luoghi più reconditi. Dovendoci vivere si operava per la santificazione del territorio con atteggiamenti devozionali nell’utilizzo delle immagini sacre che oltre che espressioni di fiducia esprimevano anche un bisogno di protezione con una componente esorcizzante. Così lungo i percorsi sorgevano manufatti (variamente classificabili a seconda della tipologia costruttiva come pilastrini, edicole, tabernacoli, capitelli, cellette, maestà) la cui realizzazione, oltre che costituire punti di riferimento scandendo i tempi di percorrenza (p.es., recitando un numero prestabilito di “rosari”), rispondeva non solo all’esigenza di ricordare al passante la presenza protettiva e costante della divinità ma svolgeva anche una funzione apotropaica. Spesso recanti epigrafi con preghiere, sollecitazioni o riferimenti ad avvenimenti accaduti, oggi hanno un valore legato al loro significato documentario.Percorrendo oggi gli antichi itinerari, gli insediamenti di interesse storico-architettonico o di pregio storico-culturale e testimoniale, esistenti, abbandonati o scomparsi (quindi i loro siti) che si trovano collocati lungo i crinali insediativi sono prevalentemente di carattere religioso o difensivo o sono piccoli centri posti all’incrocio di percorsi di collegamento trasversale; gli insediamenti di derivazione poderale sono invece ancora raggiunti da una fitta e mai modificata ramificazione di percorsi, mulattiere, semplici sentieri (anche rimasti localmente in uso fin’oltre metà del XX secolo, come p.es. testimoniano i cippi stradali installati negli anni ’50 all’inizio di molte mulattiere, così classificandole e specificandone l’uso escluso ai veicoli; alcune strade forestali verranno realizzate solo un ventennio dopo). Diversamente dalle zone collaterali, non si riscontrano nelle valli bidentine fabbricati anteriori al Quattrocento che non fossero in origine rocche, castelli o chiese, riutilizzati a scopo abitativo o rustico, o reimpieganti i materiali derivanti da quelli ed evidenzianti i superstiti conci decorati. Nell’architettura rurale persistono inoltre caratteri di derivazione toscana derivanti da abili artigiani. L’integrità tipologica dei fabbricati è stata peraltro compromessa dai frequenti terremoti che hanno sconvolto l’area fino al primo ventennio del XX secolo, ma anche dalle demolizioni volontarie o dal dissesto del territorio, così che se è più facile trovare fronti di camini decorati col giglio fiorentino o stemmi nobiliari e stipiti o architravi reimpiegati e riferibili al Cinque-Seicento, difficilmente sussistono edifici rurali anteriori al Seicento, mentre sono relativamente conservati i robusti ruderi delle principali rocche riferibili al Due-Trecento, con murature a sacco saldamente cementate. Gli edifici religiosi, infine, se assoggettati a totale ricostruzione o restauri eseguiti anche fino alla metà e oltre del XX secolo, hanno subito discutibili trasformazioni principalmente riferibili alla tradizione romanica o ad improbabili richiami neogotici. 

Il quadro territoriale più omogeneo conseguente al consolidarsi del nuovo assetto politico-amministrativo cinquecentesco vede gli assi viari principali, di fondovalle e transappenninici, sottoposti ad intensi interventi di costruzione o ripristino delle opere artificiali cui segue, nei secoli successivi, l’utilizzo integrale del territorio a fini agronomici alla progressiva conquista delle zone boscate ma p. es., nel Settecento, chi voleva salire l’Appennino da S. Sofia, giunto a Isola su un’arteria selciata larga sui 2 m trovava tre rami che venivano così descritti: per il Corniolo «[…] è una strada molto frequentata ma in pessimo grado di modo che non vi si passa senza grave pericolo di precipizio […] larga a luoghi in modo che appena vi può passare un pedone […]», per Ridràcoli «[…] composto di viottoli appena praticabili […]» e per S. Paolo in Alpe «[…] largo in modo che appena si può passarvi […].» (Archivio di Stato di Firenze, Capitani di Parte Guelfa, citato da: L. Rombai, M. Sorelli, La Romagna Toscana e il Casentino nei tempi granducali. Assetto paesistico-agrario, viabilità e contrabbando, in: G.L. Corradi e N. Graziani - a cura di, 1997, p. 82, cit.). Tale descrizione era del tutto generalizzabile: «[…] a fine Settecento […] risalivano […] i contrafforti montuosi verso la Toscana ardue mulattiere, tutte equivalenti in un sistema viario non gerarchizzato e di semplice, sia pur  malagevole, attraversamento.» (M. Sorelli, L. Rombai, Il territorio. Lineamenti di geografia fisica e umana, in: G.L. Corradi - a cura di, 1992, p. 32, cit.). Nel XIX secolo il panorama certamente non migliorò: «Cavalcando […] vidi […]. La foresta dell’Opera sulla pendice precipitosa verso Romagna era manto a molte pieghe dell’Appennino, al lembo di quel manto apparivano le coste nude del monte […]. Sugli spigoli acuti delle propaggini del monte si vedevano miseri paeselli con le chiese: San Paolo in Alpe, Casanuova, Pietrapazza, Strabatenza; impercettibili sentieri conducevano a quelli, e lì dissero le guide i pericoli del verno, la gente caduta e persa nelle nevi, […] i morti posti sui tetti per non poterli portare al cimitero, e nelle foreste i legatori del legname sepolti nelle capanne […]» (Leopoldo II di Lorena, Le memorie, 1824-1859, citato da: G.L. Corradi, O. Bandini, “Fin che lo sguardo consenta di spaziare”. Scelta di testi dal XIV al XIX secolo, in: G.L. Corradi - a cura di, 1992, p.78, cit.). Così, se al diffondersi dell’appoderamento si accompagna un fitto reticolo di mulattiere di servizio locale, per la realizzazione delle prime grandi strade carrozzabili transappenniniche occorrerà attendere tra la metà del XIX secolo e l’inizio del XX. Un breve elenco della viabilità ritenuta probabilmente più importante nel XIX secolo all’interno dei possedimenti già dell’Opera del Duomo è contenuto nell’atto con cui Leopoldo II nel 1857 acquistò dal granducato le foreste demaniali: «[…] avendo riconosciuto […] rendersi indispensabile trattare quel possesso con modi affatto eccezionali ed incompatibili con le forme cui sono ordinariamente vincolate le Pubbliche Amministrazioni […] vendono […] la tenuta forestale denominata ‘dell’Opera’ composta […] come qui si descrive: […]. È intersecato da molti burroni, fosse e vie ed oltre quella che percorre il crine, dall’altra che conduce dal Casentino a Campigna e prosegue per Santa Sofia, dalla cosiddetta Stradella, dalla via delle Strette, dalla gran via dei legni, dalla via che da Poggio Scali scende a Santa Sofia passando per S. Paolo in Alpe, dalla via della Seghettina, dalla via della Bertesca e più altre.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 163-164, cit.). L’altopiano, che nei documenti dell’Archivio fiorentino era chiamato Poggio di S. Paolo in Alpe, costituiva confine delle proprietà dell’Opera senza farne parte, che infatti giungeva a comprendere i poderi di Val di Covile e Ronco del Cianco dal versante occidentale e la valle del Fosso delle Macine dal versante orientale fino al “fiume di Ridracoli”, mentre Campodonato e la valle del Fosso del Ciriegiolone appartenevano a privati. Da una relazione del 1652: «Le selve di detta Opera benché tutte contigue fra loro per maggior chiarezza si distinguono da noi primieramente in due parti principali separate fra di loro dal poggio di S. Paolo in Alpe. Una cioè sopra detto poggio verso ponente e l’altra sotto il detto poggio verso levante. La superiore può suddividersi commodamente in tre parti delle quali quella di mezzo si chiama Campigna […]. La parte principale inferiore sotto il poggio di S. Paolo in Alpe parimenti suddividiamo in cinque parti: la prima delle quali quarta in ordine sopradetto, chiameremo Macchia di Scali […]. La quarta che contiene la macchia di Scali, la Fossa delle Macine, il Porcareccio […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 263-264, cit.). Dalla descrizione dei confini contenuta nell’atto del 1818 stipulato con il Monastero di Camaldoli: «Comunità di Bagno. Una vasta tenuta di terre […] alla quale per la circonferenza confina: […] ventesimo, Fiume di Ridracoli confina dal lasciato punto fino ad altro detto la Forca confina detto fiume; ventunesimo, Eredi Gazzani dal lasciato punto fino al podere di Poggio Pratovecchio; ventiduesimo, dal lasciato punto fino ad acqua pende Pietro Crigiolini; ventitreesimo, Signor Dottore Deodato Grisolini dal punto lasciato tenendo il crine a sinistra per l’Opera fino al crinale di Campo Minacci e da questo seguitando sempre fino a Pian del Pero sempre detto Grisolini con i poderi di Valdulbiana e Ciriegiolone; ventiquattresimo, da questo punto traversando la macchia dell’Opera sempre in diretto a confine con la comunità di Premilcuore si giunge al Giogo di Scali […]. Comunità di Premilcuore. […] dal punto del confine di questa Comune con quella di Bagno in luogo detto Pian del Pero tenendo i beni dell’Opera a sinistra correndo la strada che da Scali conduce a S. Paolo in Alpe sempre per la sommità del monte confinano i S.ri Grisolini e Giovanni Filippo Fabbri coi poderi del Ciriegiolino e del Fosso, passando dal Bruciatone fino alle Bruciate […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 461, 463, 465, 474, cit.). La composizione del podere di Ronco del Cianco si desume chiaramente dal rinnovo del 1840 dell’atto con il Monastero di Camaldoli: «N. 4 – Podere denominato Ronco del Cianco […]. Terreni […]. E questa vasta tenuta è confinata come appresso: […] 6° Fosso di Ricopri e volgendosi a levante in luogo detto Pian del Pero, 7° terre comprese nella Tenuta Forestale, 8° volgendosi verso tramontana e sempre sullo schienale del Poggio detto della Fringuella fino al Poggio della Capannina terreni compresi nella comunità di Santa Sofia, volgendosi quindi al nord-est e percorrendo sempre lo schienale del poggio che si succedono fino alla sommità del Poggio delle Bruciate, 9° terreni posti nella medesima comunità di Santa Sofia e discendendo fino al Fosso del Pianaccione Fabbri Eredi di Giovanni-Filippo salvo se altri.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 498, 511-513, cit.). I toponimi citati sono localizzabili grazie alla Carta Geometrica della Regia Foresta Casentinese e adiacenze, datata 1850 e conservata presso il Nàrodni Archiv Praha: presso i siti delle Bruciate e delle Fontanelle si vede rappresentato un fosso identificabile nel Fosso delle Fontanelle, che infatti nasce dalle pieghe del contrafforte tra Poggio Capannina e Monte Grosso, confluendo nel Fiumicino di S. Paolo poco prima del Fosso dell’Alberaccio; il Fosso del Pianaccione dai confronti cartografici risulta corrispondere all’odierno Fiumicino di S. Paolo. Nella mappa è rappresentato anche il sito Faggio alla Fringuella, evidentemente corrispondente al poggio citato nel contratto.

Il contrafforte che, come detto, si dirige verso Forlì generalmente orientato a Grecale, in corrispondenza dell’Altopiano di S. Paolo in Alpe per un breve tratto vede un orientamento su Zefiro, NNO e si trova allo snodo con il percorso di controcrinale per Celle-Poggio Corsoio. Sul versante sud-occidentale l’altopiano è profondamente inciso dei rami dei Fossi del Perone e dell’Alberaccio tanto da separare due evidenti prominenze che hanno favorito l’insediamento e la costituzione di praterie secolari. Il tracciato viario e/o sentieristico di antichissima frequentazione (come accennato, almeno già dal 1900-1800 a.C. e forse una tra le vie militari romane) che ancora percorre il contrafforte, nell’antichità più recente era noto come Via del Giogo di Scali o Via di Scali, dalla cui ripidezza finale, quasi una scalata, è probabilmente derivato il toponimo del rilievo (dal latino scala, -ae = scala), infatti nel 1791 detto Poggio della scala mentre nella Carta Generale della Toscana della Litografia Militare Granducale del 1858 era Poggio delle Ripebianche.

Oltre i sopracitati reperti attribuiti alle frequentazioni dell’Eneolitico, si ha certezza del notissimo insediamento dell’altopiano originariamente costituito da un eremo che, «[…] secondo il Repetti, era un tempo soggetto all’Abbazia di Isola, come si rileverebbe da due documenti del 1092 e del 1269.» (www.fc.camcom.it, V Le Case Sparse, _86, cit.). Le visite apostoliche forniscono utili informazioni relative ai secoli XVII e XVIII quando viene rilevata la presenza di due distinti e distanziati edifici religiosi, posti sullo stacco delle due prominenze che si aprono verso Libeccio e Garbino (SO – SSO), divise dal Fosso dell’Alberaccio: la Chiesa di S. Agostino in Alpe e la Chiesa di S. Paolo in Alpe, poi Oratorio di S. Paolo, da cui deriva il nome del luogo. La Chiesa di S. Paolo in Alpe è citata per la prima volta nella visita pastorale del 1625, quando vien trovata semidistrutta; anche il rapporto della visita del 1705 è particolarmente negativo: «Visita alla chiesa semplice od oratorio di S. Paolo in Alpe, unita all’abbazia di S. Ellero e di S. Maria in Cosmedin dell’Isola. Si trova sul vertice di un altissimo monte, in parrocchia di S. Martino di Rio degli Oracoli, detto Ridracolo, da cui dista circa 4 miglia, con un cammino appena accessibile. La chiesa è male strutturata, col tetto che minaccia di rovinare, le pareti con spaccature, la porta consumata dal tempo. L’altare è spoglio. Se c’è qualche suppellettile è fradicia. Solo in calice e il messale sono decenti, ma questi sono conservati nella casa vicina, dove è depositata anche la campana, tolta dal campanile […] per timore che si frantumasse cadendo. […] In essa gli Abati vi avevano sempre fatto celebrare a proprie spese, facendo parte dell’abbazia, ma senza avere alcun reddito, ma per la pietà popolare dei popoli verso S. Paolo, non cessando mai il concorso del popolo circostante, giungendo anche da luoghi lontani, tanta era la loro venerazione, specialmente per la presenza di un pozzo posto sul culmine del monte con ottima acqua perenne.» (E. Agnoletti, 1996, p. 252, cit.). Dalla cronaca delle visite si giunge alle distruzioni in seguito ai terremoti del 1818-19, alle successive ricostruzioni e infine al conflitto bellico da cui consegue, nel 1944, l’incendio per rappresaglia di tutti gli edifici ad opera delle truppe tedesche e il definitivo abbandono. Se una chiesa con intenzioni sostitutive verrà ricostruita a Fiumari nel 1988, agli stessi anni risalgono le ultime notizie relative a quanto rimaneva della chiesa definitivamente declassata a Oratorio «[…] di patronato della famiglia Giorgi, recentemente demolito dall’Azienda Forestale.» (www.fc.camcom.it, V-Le Case Sparse_86, cit.), probabilmente demolito per far spazio alla “modernizzazione” infrastrutturale della viabilità di crinale verso Biserno, che occorreva distanziare da uno dei più alti insediamenti silvo-pastorali d’alta quota della montagna forlivese. Oggi noto come il Casone di S. Paolo, nella consistenza attuale edificato principalmente tra la seconda metà del secolo XIX e la prima metà del XX, il fabbricato vedeva il suo nucleo originario prima adiacente e condividente il toponimo S.Paolo con l’edificio religioso, che probabilmente aveva canonicamente rivolta la facciata verso Est e prospiciente la Via di Scali; solo in seguito si nota la sede viaria traslata a separare strettamente i due fabbricati. All’epoca dell’ampliamento della sede stradale tutti i fabbricati probabilmente si trovavano già completamente abbandonati, anche in conseguenza delle distruzioni belliche, o in fase di abbandono. Se del complesso ex-religioso di S. Agostino è prevista la salvaguardia e valorizzazione da parte dell’Ente Parco delle Foreste Casentinesi che, nel dicembre 2016, lo ha acquisito, del Casone è stato realizzato (2018) un intervento di recupero ad opera del Parco delle Foreste Casentinesi. Esaminando il fabbricato colonico è evidente come la rigidità climatica e l’esposizione al vento hanno fortemente condizionato la sua tipologia costruttiva, conseguente ad un’economia di montagna quindi caratterizzata dalla notevole espansione orizzontale e dalla limitata altezza, con assenza di annessi indipendenti e concentrazione di tutte le funzioni all’interno del medesimo fabbricato, compreso il pozzo, aspetto questo singolare, probabilmente si tratta dello stesso pozzo delle citate descrizioni storiche, inglobato in occasione di uno dei vari ampliamenti. In prossimità del luogo dell’Oratorio, che venne demolito benché costituisse memoria materiale della denominazione del luogo, forse con intenti risarcitori (benché esponga l’icona del Cristo anziché quella dell’apostolo) ed anch’essa esposta canonicamente ad Est, è stata edificata la Maestà di S. Paolo; caratterizzata dalla tipologia a pilastrino con struttura in muratura intonacata, basamento rivestito in pietra e tettuccio con le tipiche lastre di arenaria, come a ripetere antiche vicende, si presenta già parzialmente inclinata. La bacheca commemorativa dei fatti della Resistenza è stata spostata dinanzi al Casone, in occasione del suo recupero. Dall’altopiano transita il Sentiero della Libertà, progetto di itinerario voluto dal Parco delle Foreste Casentinesi in collaborazione con l’Istituto per la Storia della Resistenza e dell’Età contemporanea della Provincia di Forlì-Cesena: «È un antichissimo tracciato, formato dal susseguirsi di sentieri di crinale e contro crinale che, partendo da Biserno […], dopo aver toccato l’altopiano di San Paolo in Alpe […], scende fin sul greto del Bidente di Corniolo e, dopo averlo scavalcato, risale le pendici del massiccio del Falterona per poi biforcarsi a raggiungere da una parte la Val di Sieve ed il Mugello e dall’altra parte il Casentino. Qua e là, lungo il percorso, tabelle, lapidi, monumenti collocati da Comune, Provincia, ANPI, indicano luoghi dove durante la Resistenza si sono svolti scontri armati o feroci rappresaglie. È stato appunto per il tanto sangue versato da gente inerme e innocente che questo suggestivo percorso è poi stato identificato e classificato con l’impegnativo termine di Libertà.» (M. Gasperi, 2006, pp. 107-108, cit.).

N.B. - La visita apostolica o pastorale, che veniva effettuata dal vescovo o suo rappresentante, era una prassi della Chiesa antica e medievale riportata in auge dal Concilio di Trento che ne stabilì la cadenza annuale o biennale, che tuttavia fu raramente rispettata. La definizione di apostolica può essere impropria in quanto derivante dalla peculiarità di sede papale della diocesi di Roma, alla cui organizzazione era predisposta una specifica Congregazione della visita apostolica. Scopo della visita pastorale è quello di ispezione e di rilievo di eventuali abusi. I verbali delle visite, cui era chiamata a partecipare anche la popolazione e che avvenivano secondo specifiche modalità di preparazione e svolgimento che prevedevano l'esame dei luoghi sacri, degli oggetti e degli arredi destinati al culto (vasi, arredi, reliquie, altari), sono conservati negli archivi diocesani; da essi derivano documentate informazioni spesso fondamentali per conoscere l’esistenza nell’antichità degli edifici sacri, per assegnare una datazione certa alle diverse fasi delle loro strutture oltre che per averne una descrizione a volte abbastanza accurata.

- La Mostra “Il luogo e la continuità”, organizzata nel 1984 dalla C.C.I.A.A., dall’Amm. Prov. Forlì e dall’E.P.T. Forlì, completata da specifico catalogo, rappresentava la conclusione di una ricerca, avviata nel 1978, allo scopo di contribuire alla conoscenza della realtà territoriale ed antropica della Vallata del Bidente, come oggetto specifico aveva lo studio dei percorsi, dei nuclei e delle case sparse, però come momento fondamentale di lettura e progetto di un territorio, di verifica delle risorse e delle potenzialità presenti, al fine di una valorizzazione delle sue caratteristiche storico-culturali. Le tavole prodotte, oltre 100, sono state affidate al Museo “T. Aldini” per una più agevole consultazione; inoltre sono state tutte digitalizzate e sono disponibili sul sito camerale.

Per approfondimenti si rimanda alla scheda toponomastica Valle del Bidente di Campigna e/o relative ad acque, rilievi e insediamenti citati.

RIFERIMENTI   

AA. VV., Dentro il territorio. Atlante delle vallate forlivesi, C.C.I.A.A. Forlì, 1989;

AA. VV., Il luogo e la continuità. I percorsi, i nuclei, le case sparse nella Vallata del Bidente, C.C.I.A.A., Amm. Prov. Forlì, E.P.T. Forlì, Forlì 1984

E. Agnoletti, Viaggio per le valli bidentine, Tipografia Poggiali, Rufina 1996;

S. Bassi, N. Agostini, A Piedi nel Parco, Escursioni nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, ComunicAzione, Forlì 2010;

G.L. Corradi (a cura di), Il Parco del Crinale tra Romagna e Toscana, Alinari, Firenze 1992;

G.L. Corradi e N. Graziani (a cura di), Il bosco e lo schioppo. Vicende di una terra di confine tra Romagna e Toscana, Le Lettere, Firenze 1997;

A. Gabbrielli, E. Settesoldi, La Storia della Foresta Casentinese nelle carte dell’Archivio dell’Opera del Duomo di Firenze dal secolo XIV° al XIX°, Min. Agr. For., Roma 1977;

M. Gasperi, Boschi e vallate dell’Appennino romagnolo, Il Ponte Vecchio, Cesena 2006;

N. Graziani (a cura di), Romagna toscana, Storia e civiltà di una terra di confine, Le Lettere, Firenze 2001;

P. Zangheri, La Provincia di Forlì nei suoi aspetti naturali, C.C.I.A.A. Forlì, Forlì 1961, rist. anast. Castrocaro Terme 1989;

Carta Escursionistica scala 1:25.000, Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, S.E.L.C.A., Firenze;

I segni della Memoria e i luoghi della Resistenza nel Parco, Carta scala 1:60.000, Parco delle Foreste Casentinesi, S.E.L.C.A., Firenze 2005.

Foreste Casentinesi, Campigna – Camaldoli – Chiusi della Verna, Carta dei sentieri, Istituto Geografico Adriatico, Longiano 2012;

Link: http://www.istorecofc.it/luoghi-sentiero.asp?pr1_tipo=luoghi;

Link:www.fc.camcom.it/area biblioteca/documento.htm?ID_D=4931;

Link: www.mokagis.it/html/applicazioni_mappe.asp.

Percorso/distanze :

Testo di Bruno Roba

S. Paolo in Alpe è facilmente raggiungibile dalla strada forestale S.Paolo in Alpe-La Lama, deviazione dalla S.P. 4 del Bidente seguendo la rotabile S.Vic.le Corniolino-S. Paolo in Alpe (bivio per S.Agostino al km 35+100) per circa 6 km. Dalla sbarra 2 km circa.

foto/descrizione :

Le foto sono state scattate da Bruno Roba, che ha anche inserito i testi, e qui riprodotte su autorizzazione dell'autore
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001a – 001b – 001c - Nelle vedute panoramiche da Poggio Scali le praterie innevate dell’Altopiano di S. Paolo in Alpe gareggiano per aridità con le nude stratificazioni rocciose nelle stagioni secche. Da qui si distinguono bene le due prominenze dell’altopiano che ospitavano i due distinti insediamenti religiosi di S. Agostino e S. Paolo e, nelle viste ravvicinate, si riesce a distinguere anche la Maestà di S.Paolo (2/09/11)

 

001d/001g - Il Canale del Pentolino incide lo spartiacque appenninico fino al crinale aprendo un varco panoramico: la sella di Pian del Pero proietta la vista lungo il contrafforte, che si segue pressoché per l’intero suo sviluppo verso la bassa valle di Ridràcoli fino a scorgere S.Sofia. Nel contrafforte, l’Altopiano risalta e mostra le sue particolarità (15/05/14 – 11/12/14).

 

001h – 001i – Dalle pendici di Poggio Squilla, vedute della prominenza dell’altopiano con l’insediamento del Casone, ma la Maestà rimane nascosta da un rigoglioso Ippocastano (25/04/18).

 

001l – 001m – 001n – Dal crinale di Ronco dei Preti si riesce ad individuare la Maestà nell’altopiano, che appare un fazzoletto erboso ritagliato tra aspri rilievi boscosi (24/10/18).

 

001o – 001p - 001q - Elaborazioni da cartografia di primo impianto del 1937 che evidenzia la viabilità allora esistente, costituita essenzialmente da mulattiere e sentieri, mentre, ovviamente, manca la rotabile S. Paolo/Lama, da cartografia particolareggiata di primo impianto del 1826-34, ed elaborazione di confronto tra cartografia di inizio e fine del XX sec., nelle quali, tra l’altro, si notano  le modifiche del tracciato della Via di Scali presso i fabbricati del Casone e della piccola Chiesa/Oratorio di S. Paolo che, in origine veniva lambita dalla strada sul lato Est, dove probabilmente si attestava la facciata così correttamente orientata secondo i canoni prevalenti. Un secolo dopo il Casone risulta ampliato verso Ovest e la strada diventa una strettoia tra i due fabbricati. Infine si può apprezzare l’incidenza della “modernizzazione” stradale nell’assetto storico, laddove, pressoché sul sito del demolito Oratorio, ne costituisce testimonianza e memoria la Maestà di S. Paolo. La scrittura della toponomastica riprende quella originale, nel terzo grafico solo quella in nero.

 

001r/001z - Vedute relative al moderno rapporto tra insediamento, infrastruttura: in luogo della Maestà di S. Paolo, pure guardante ad Est ma più prossima al Casone, occorre immaginare la presenza della piccola Chiesa/Oratorio di S. Paolo. È in corso un’ulteriore modernizzazione dell’assetto insediativo che conseguirà al recupero di parte del Casone come osservatorio della fauna selvatica e ricovero per escursionisti; la restante parte verrà risanata a fini di testimonianza, con consolidamento delle porzioni superstiti onde di evitare ulteriori dissesti (26/03/12 – 10/12/15 – 25/04/18 - 24/10/18).

002a/002f – La Maestà di S. Paolo; notare che, se è stata eretta con fini risarcitori a seguito della demolizione e/o rimozione dei resti della Chiesa/Oratorio di S. Paolo, a ciò non ha corrisposto l’installazione di un’icona dell’apostolo, come peraltro anticamente presente nell’edificio (26/03/12 – 15/07/13 - 25/04/18).

002g/002m – Imperturbabile nonostante il suggestivo contrasto cromatico dell’innevato scenario autunnale, mentre inaugura una nuova simbiosi col vicino Casone, la maestà scruta l’orizzonte levantino scaldata dal primo sole, emulando il canonico rito dell’antico oratorio di cui vuole serbare la memoria  (21/11/18).

Innocent