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S. Giovanni in Certino

inserita da Bruno Roba
Comune : Santa Sofia
Tipo : fabbricato non pių esistente
Altezza mt. : 616
Coordinate WGS84: 43 54' 23" N , 11 46' 55" E
Toponimo nell'arco di
notizie :

Testo inserito da Bruno Roba (3/05/25) - La Valle del Fiume Bidente delle Celle racchiude il bacino idrografico di quel ramo occidentale del Bidente delimitato a NO dal contrafforte principale che la divide dalla valle del Fiume Rabbi inizialmente costituito dalle pendici di Pian Cancelli che, dal Monte Falco, proseguono per il promontorio tondeggiante di Pian delle Fontanelle, scendono ripidamente tramite Costa Poggio Corsoio; quindi, risalgono a Poggio Bini e a Monte Ritoio. Qui il contrafforte vira bruscamente verso Est fino a Monte dell’Avòrgnolo, dove riprende l’andamento principale puntando verso Forlì per terminare alla chiesa di Collina sopra Grisignano, non prima di avere evidenziato un’ulteriore sequenza di rilievi (i Monti Guffone e della Fratta, i Poggi Penna e Montironi, i Monti PrignolaiaAltaccioSpinodelle ForcheMartellinoGrossoFusoBrucchelle Velbe, i Colli delle Caminate e di Lardiano). Sul versante sx la chiusura della Valle delle Celle è costituita dalla dorsale di Pian dell’Olmo che dall’Avòrgnolo si stacca verso SE, separando la Valle del Fosso della Fontaccia dalla Val Bonella, dove scorrono i Fossi di Val della Noce e di Verghereto. Il versante SE della valle, in dx idrografica, è delimitato da una dorsale inizialmente caratterizzata da uno dei tratti più impervi del versante appenninico. Alla morfologia piramidale di Poggio Martino, separata dal Monte Falco dalla sella di Pian dei Fangacci, fa seguito la geometrica sequenza di creste degli altri quattro rilievi, detti (alcuni secondo l’antico oronimo) Poggio di ZaccagninoPoggio di MezzoPoggio del Palaio e Poggio delle Secchete, oggi Poggio Palaio, che si sviluppa verso Est, leggermente divaricandosi in un simil-parallelismo dallo Spartiacque Appenninico, secondo un evidente fenomeno geomorfologico di frattura e scivolamento di una colossale tratto di versante in ambiente marnoso-arenaceo, da attribuire alla storia geologica appenninica recente; lo scivolamento non ha modificato l’orientamento della giacitura stratigrafica originaria, caratterizzata dalla tipica asimmetria paesaggisticamente evidente. Mentre sul versante di Campigna la depressione conseguente al fenomeno geomorfologico ha determinato la formazione della valle progressivamente incisa dal Fosso dell’Abetìa o Abetìo e la creazione dell’habitat favorevole allo sviluppo dell’Abetìa rinomata quanto sfruttata specie tra il XV e XIX secolo, sul versante delle Celle la giacitura a reggipoggio ripete le fortissime pendenze modellate dall’erosione, con formazione di profondi fossi e canaloni fortemente accidentati, che caratterizzano i due anfiteatri montani posti a Nord di Poggio Martino, attestati sul contrafforte e intercalati dalla Costa Poggio dell’Aggio Grosso. Da Poggio Palaio la dorsale si orienta a NE e digrada con i tratti molto impervi di OMO MORTO e la Costa Poggio dei Ronchi fino alla sella di Tre Faggi, come Crinale di Corniolino prima si innalza con il Monte della Maestà, poi digrada andando a concludersi presso Lago sulla confluenza del Fiume Bidente delle Celle nel Fiume Bidente di Campigna, così contribuendo alla chiusura della valle.

L’asta fluviale principale si distingue in un tratto montano costituito dal Fosso delle Celle, in base al catasto moderno dallo sviluppo ridottissimo in quanto avente origine dalla confluenza, subito a valle de La Casina, dei Fossi Guscella e dell’Asticciola, con il Guscella proveniente da Poggio Bini e l’Asticciola dal versante poco più ad Ovest. Il tratto fluviale di fondovalle è quindi originato dalla confluenza, a Celle, tra il Fosso delle Celle e il Fosso di Pian del Grado, ma va precisato che la classificazione di Fiume per il Bidente delle Celle di questo tratto compreso tra la zona di Celle e lo sbocco nel Bidente di Campigna compare solo nella Carta Tecnica Regionale (CTR), mentre secondo il Nuovo Catasto Terreni (NCT) il Bidente delle Celle (senza classificazione) è generato dalla confluenza tra i Fossi di Pian del Grado e dell’Ortaccio. La restante cartografia antica e moderna attribuisce all’intero corso d’acqua la classificazione di Fosso, come a disconoscere la sua caratteristica di permanenza e il suo contributo tramite canale di gronda sotterraneo del Lago di Ridràcoli. Peraltro P. Zangheri (cit.), nella sua rigida classificazione non sempre recepita dalla cartografia, ipotizza che il Fiume Ronco abbia origine dal Monte Falco ma, considerando che in effetti le sue sorgenti sgorgano da un tratto di Spartiacque Appenninico che si estende di una ventina di km, tra il Monte Falco Cima del Termine, stabilisce che in effetti deriva dall'unione di tre “grossi torrenti”, il Bidente di Corniolo (formato dalla confluenza del Bidente delle Celle e del Bidente di Campigna), il Bidente di Ridracoli e il Bidente di Strabatenza o di Pietrapazza.

Il Fosso delle Mandriacce nasce dal versante compreso tra Poggio Palaio e il Monte della Maestà, i cui rami più elevati hanno origine dalle pieghe comprese tra OMO MORTOCosta Poggio dei Ronchi e la sella di Tre Faggi, e lo sviluppo tortuoso del corso torrentizio, spesso incassato tra ripide pareti esposte marnoso-arenacee con bancate occasione di frequenti salti di quota dell’alveo, è alimentato dagli scoli minori provenienti dal tratto di dorsale fino al Monte della Maestà culminante con il Crinale di Corniolino, l’ultimo dei quali scolante dal monte confluisce in corrispondenza della cascata delle Mandriacce, causata dal salto di un’imponente bancata arenacea di 25-30 m, prossima all’immissione nel Bidente.

Il versante in sx idrografica del Bidente delle Celle è costituito dal tratto di contrafforte principale compreso tra Poggio Bini e il Monte dell’Avòrgnolo, caratterizzato da un crinale che procede senza regolarità altimetrica e tende a sviluppare dei picchi che costituiscono nodi montani, in particolare fino al Monte Guffone, da cui si staccano dorsali secondarie in varie direzioni. Questo assetto morfologico è tettonicamente significativo, ovvero riguardo la disposizione delle rocce e loro modalità di corrugamento e assestamento, e si ripete con notevole parallelismo in tutti i contrafforti. Dal nodo montano costituito dal Monte Ritoio (che “indica la retta via”) la linea di cresta principale si piega e si ripiega nettamente ma biforcandosi per il distacco di un’imponente dorsale imperniata sul Monte Cavallo (c.d. vuoi per la lunga sella che collega la sua duplice vetta, vuoi per i cavaglioni, mucchi di covoni, in passato ivi disseminati), che compenetra l’intera vallata. Tale morfologia determina dapprima un anfiteatro naturale imperniato sul Ritoio, rivolto a meridione così permettendo un microclima favorevole, che possiede caratteristiche particolarmente risorgive, testimoniate dal toponimo Acquaviva attribuito all’insediamento di altura, convogliate nel Fosso dei Fondi mentre il Fosso del Foscolo, suo principale affluente, provengono dal versante di Poggio Bini.

Di seguito si nota il ripetersi in sequenza del medesimo fenomeno geomorfologico di frattura e scivolamento di colossali masse rocciose in ambiente marnoso-arenaceo, da attribuire alla storia geologica appenninica recente, sopra evidenziato riguardo il Fosso dell’Abetìa, con mantenimento dell’orientamento della giacitura stratigrafica. Il susseguirsi di depressioni conseguenti a tali processi geomorfici ha determinato la formazione delle valli progressivamente incise dai Fossi del Ronchetodelle Fontacce e di Lavacchio, tutte caratterizzate da un ampio versante similmente orientato.

L’ultima valle di questo versante del Bidente delle Celle è attraversata dal Fosso della Fontaccia, anch’essa caratterizzata da un ampio versante esposto a solatìo che si innalza fino al crinale della sopracitata dorsale di Pian dell’Olmo, in parte soggetta a fenomeni geomorfologici da scivolamento di detrito di versante incoerente, di dimensioni e litologie varie depositato per gravità e ruscellamento, costituente paleofrana risalente al Quaternario, Pleistocene superiore-Olocene (1,8 milioni - 10 mila anni BP, Before Present, anni dal presente, inteso per convenzione il 1950). Il versante a bacìo scosceso e dirupato appartiene alla dorsale che si stacca dal Monte dell’Avòrgnolo, interposta con la Valle di Lavacchio. Il Fosso della Fontaccia ha origine dalla biforcazione creata da dette due dorsali nello staccarsi dal monte e si immette nel Bidente delle Celle, a circa 500 m in linea d’aria da Lago, parzialmente intubato a seguito della costruzione della rotabile che risale il Bidente fino agli impianti di adduzione dell’invaso di Ridràcoli. Sul bordo superiore settentrionale e/o all’interno dei prati-pascoli della paleofrana si distribuiscono gran parte degli insediamenti, o ne debordano fino a raggiungere gli 800 m di quota, alcuni abbandonati e diruti, altri recuperati ed abitati. Essi sono Ca’ d’Armati già Casa Armai e forse Cà D’AmatiCa dell’Orso o Ca’ dell’Orso o Cà D’Orso, già Cas’Orso o l’OrsoCa di Belletta già CasabelletaCa S. Giovanni o Ca’ S. Giovanni o C. S. Giovanni già GiovanniCiortino documentato già CertinoCapo alla Villa già Capo la Villa, anticamente centro amministrativo di tutta la zona, Pian dell’Olmo e La Casina, quest’ultimo toponimo noto solo nel luogo e tramandato oralmente. Va inoltre ricordata l’antica e scomparsa Chiesa di S. Giovanni in Certino, parrocchiale documentata dal 1378 di cui conserva memoria toponomastica il vicino fabbricato di S. Giovanni, mentre il diffuso toponimo Certino è una contrazione da cerretino dal latino cerretum, bosco di cerri, anch’esso antico e diffuso toponimo, documentato dalla CARTA GEOGRAFICA DELLA DIOCESI DI S. ILLARO del 1754-59 (cfr. Carta del territorio dell’abbazia di S.Ellero, tav. f.t. in: E. Agnoletti, 1974, cit.), unico toponimo riportato nell’area specifica insieme a Vergareto, ma già allora non accompagnato dalla simbologia crociata utilizzata in caso di presenza di strutture religiose.

La cartografia storica, ovvero il dettagliato Catasto toscano (1826-34 – scala 1:5000), la schematica Carta della Romagna Toscana Pontificia (1830-40 – scala 1:40.000), le prime edizioni della Carta d’Italia dell’I.G.M. (1893-94 – scala 1:50.000; 1937 – scala 1:25.000), da integrare per la classificazione storica del Bidente con le Bozze di mappe catastali della Foresta Casentinese e Campigna (1808-1830 – scala 1:5000) e la Carta Geometrica della Regia Foresta Casentinese (1850 – scala 1:20.000), consente di conoscere, tra l’altro, il tracciato della viabilità antica che riguardava la Valle di Campigna. Tra le altre, le c.d. vie dei legni, o Strade dette dei legni per il trasporto dei medesimi (così riportate nella Carta Geometrica) utilizzate per il trasporto del legname attraverso i valichi appenninici tosco-romagnoli fino al Porto di Dicomano o al Porto di Moscia sulla Sieve, per limitare i costi di smacchio e trasporto, o al Porto di Badia a Poppiena a Pratovecchio (cfr. M. Ducci, G. Maggi, B. Roba, 2024, cit.), proveniente dalla selva di Castagno - oggetto della prima donazione del 1380 a favore dell’Opera del Duomo di Firenze ed estesa tra Pian del Grado (Macchia dell’Opera detta le Buche del Piano del Grado), dove abitavano gli Operai e le guardie dell’Opera - o da CelleMonte Corsoio (Pastura detta di Monte Corsojo), Pian delle Fontanelle e Poggio della Serra. 

L’intero sistema dei crinali, nelle varie epoche, ha avuto un ruolo cardine nella frequentazione del territorio da parte di gruppi nomadi di pastori-raccoglitori-cacciatori Liguri (Apuani, Frinati, Mugelli, Clausentini) giunti sino a qui dalla Provenza passando le Alpi e seguendo nei loro spostamenti la dorsale appenninica, per poi arrestarsi in Casentino e nell’alta Val Bidente, come avvalorato dal ritrovamento in Campigna nella prima metà del XIX secolo, attestato dall’archivio archeologico Gamurrini e dalle memorie del Siemoni, di una sepoltura attribuibile al III millennio a.C. ed appartenente forse ad un capo tribù o un pastore-guerriero ligure corredata da una lancia con impugnatura carbonizzata e punta in selce disposta sulla destra dello scheletro, mentre i resti evidenziano che la mano sinistra stringeva un corno di capriolo. Anche le frequentazioni etrusche si sarebbero spinte fin qui come attesterebbe il ritrovamento casuale da parte del Siemoni di una statuetta in bronzo di VII-VI secolo a.C. con elmo e cimiero, probabile raffigurazione di divinità guerriera, riportato in una celebre Guida«[…] è degno di particolare menzione […] il ritrovamento (Campigna c.s.) di una statuetta di bronzo rappresentante un guerriero con elmo a grande cresta, oggetto preziosissimo perché sta a indicare qual fosse l’armatura particolare nella regione Casentinese […]» (C. Beni, 1881, rist. anast. 1998, pp. 11-12, cit.). Non è nota la collocazione dei reperti citati. In epoca romana i principali assi di penetrazione si spostano sui tracciati di fondovalle, che tuttavia tendono ad impaludarsi e comunque necessitano di opere artificiali, mentre i percorsi di crinale perdono la loro funzione portante, comunque mantenendo l’utilizzo da parte delle vie militari romane

Dalla Valle delle Celle nel suo limite occidentale altomontano passava probabilmente una delle possibili varianti della Via Flaminia militare (o minor), fatta costruire dal Console Caio Flaminio nel 187 a.C., con lo scopo di rendere più veloce il collegamento tra Bologna Arezzo, realizzata «[…] sfruttando tratti di percorsi etruschi preesistenti […]» (A. Fatucchi, La viabilità storica, in: AA. VV., 1995, p. 27, cit.) ed utilizzata dalle legioni romane per valicare l’Appennino al fine di sottomettere Celti, Liguri e Galli Boj che stanziavano nella pianura padana. Si ipotizza che risalendo dal Casentino fino al Monte Falco, percorreva quella che oggi è nota come Pista del Lupo lungo la Costa di Pian Cancelli, transitava da Pian delle Fontanelle, così detta per la presenza di polle d’acqua, da Poggio Corsoio e dal Valico dei Tre Faggi, quindi discendeva verso Castel dell’AlpePremilcuore Faenza per immettersi nella Via Aemilia (questo è ritenuto il più antico itinerario di valico). In alternativa da Poggio Corsoio si raggiungeva Forlì Ravenna transitando dal crinale del contrafforte principale sul limite settentrionale della valle, con le vette emergenti dei Monte Ritoio e Guffone; questo itinerario era anche una delle Vie del Sale maggiormente utilizzate per il contrabbando. Lo stesso toponimo Campigna potrebbe avere un’origine romana, dal latino campilia (campus – ilia) ovvero un insediamento con principale funzione di approvvigionamento di una circoscrizione territoriale militare di età imperiale. Sicuramente questo territorio era noto ai romani sia per le foreste, dalle quali si procuravano il legname per le necessità delle flotte di ClasseRimini Ravenna, sia per le sorgenti: alla fine del I secolo d.C. l’Imperatore Traiano fece costruire l’acquedotto che riforniva Ravenna

Tra il VI ed il XV secolo, a seguito della perdita dell’equilibrio territoriale romano ed al conseguente abbandono delle terre, inizialmente si assiste ad un riutilizzo delle aree più elevate e della viabilità di crinale con declassamento di quella di fondovalle. Sotto il dominio dei Bizantini e degli Ostrogoti sorgono torri di altura per arrestare l’avanzata dei Longobardi in direzione Ravenna nell’alta Valle d’Arno, con scarso successo.Lo stato di guerra permanente porta, per le Alpes Appenninae l’inizio di quella lunghissima epoca in cui diventeranno anche spartiacque geo-politico e, per tutta la zona appenninica, il diffondersi di una serie di strutture difensive, anche di tipo militare/religioso o militare/civile, oltre che dei primi nuclei urbani o poderali, dei mulini, degli eremi e degli hospitales.

Dopo la morte di Carlo Magno si insediarono signorotti di origine longobarda e franca spesso apparentati con aristocratici bizantini, come nel caso dei Conti Guidi. Il loro coinvolgimento nelle lotte tra Guelfi e Ghibellini e il conseguente contrasto con la Repubblica di Firenze comportò la loro caduta e l’ascesa della dominazione fiorentina con l’espansione della Romagna toscana. Il quadro territoriale più omogeneo conseguente al consolidarsi del nuovo assetto politico-amministrativo cinquecentesco vede gli assi viari principali, di fondovalle e transappenninici, sottoposti ad intensi interventi di costruzione o ripristino delle opere artificiali cui segue, nei secoli successivi, l’utilizzo integrale del territorio a fini agronomici alla progressiva conquista delle zone boscate. In questo periodo si verifica una rinascita delle aree di fondovalle con un recupero ed una gerarchizzazione infrastrutturale con l’individuazione delle vie Maestre, pur mantenendo grande vitalità le grandi traversate appenniniche ed i brevi percorsi di crinale. Comunque, nel Settecento, chi voleva risalire l’Appennino da S. Sofia, giunto a Isola su un’arteria selciata larga sui 2 m trovava tre rami che venivano così descritti: per Ridràcoli «[…] composto di viottoli appena praticabili […]» per S. Paolo in Alpe «[…] largo in modo che appena si può passarvi […].» e per il Corniolo «[…] è una strada molto frequentata ma in pessimo grado di modo che non vi si passa senza grave pericolo di precipizio […] larga a luoghi in modo che appena vi può passare un pedone […]» (Archivio di Stato di Firenze, Capitani di Parte Guelfa, citato da: L. Rombai, M. Sorelli, La Romagna Toscana e il Casentino nei tempi granducali. Assetto paesistico-agrario, viabilità e contrabbando, in: G.L. Corradi e N. Graziani - a cura di, 1997, p. 82, cit.). Inoltre, «[…] a fine Settecento […] risalivano […] i contrafforti montuosi verso la Toscana ardue mulattiere, tutte equivalenti in un sistema viario non gerarchizzato e di semplice, sia pur malagevole, attraversamento.» (M. Sorelli, L. Rombai, Il territorio. Lineamenti di geografia fisica e umana, in: G.L. Corradi, 1992, p. 32, cit.). Un breve elenco della viabilità ritenuta probabilmente più importante nel XIX secolo all’interno dei possedimenti già dell’Opera del Duomo è contenuto nell’atto con cui Leopoldo II nel 1857 acquistò dal granducato le foreste demaniali: «[…] avendo riconosciuto […] rendersi indispensabile trattare quel possesso con modi affatto eccezionali ed incompatibili con le forme cui sono ordinariamente vincolate le Pubbliche Amministrazioni […] vendono […] la tenuta forestale denominata ‘dell’Opera’ composta […] come qui si descrive: […]. È intersecato da molti burroni, fosse e vie ed oltre quella che percorre il crine, dall’altra che conduce dal Casentino a Campigna e prosegue per Santa Sofia, dalla cosiddetta Stradella, dalla via delle Strette, dalla gran via dei legni, dalla via che da Poggio Scali scende a Santa Sofia passando per S. Paolo in Alpe, dalla via della Seghettina, dalla via della Bertesca e più altre.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 163-164, cit.). Così, se al diffondersi dell’appoderamento si accompagna un fitto reticolo di mulattiere di servizio locale, per la realizzazione delle prime grandi strade carrozzabili transappenniniche occorrerà attendere tra la metà del XIX secolo e i primi decenni del XX: «La nuova strada S. Sofia – Stia, bellamente pianeggiando sotto il Corniolo, attraversa il Bidente che viene dalle Celle e poi inizia l’ascesa del monte verso Campigna poco più su dal luogo donde si diparte, a sinistra, la mulattiera che mena a S. Paolo in Alpe ove, fino al secolo XVI, era un eremo agostiniano.» (D. Mambrini, 1935 – XIII, p. 270).

Anche il Crinale di Corniolino, limite sud-orientale della Valle delle Celle, era percorso da viabilità antica di origine preromana di cui si conservano ancora notevoli tratti selciati pure proveniente da Mevaniola: si tratta dell’antica Stratam magistram, la strada maestra romagnola o Via Romagnola il cui tracciato ben infrastrutturato dal crinale discendeva alla Colla Tre Faggi per risalire verso i Monti Ritoio e Gabrendo e ridiscendere sul versante opposto verso Stia. L’inizio del tratto alto-bidentino di questo antico tracciato è facilmente individuabile presso Lago (almeno nello sviluppo posteriore alla fine del XVII sec., successivo alla rimodellazione post-lacustre conseguente all’ostruzione franosa del 1681 che effettivamente generò un lago determinando la scomparsa del podere di Fior di Lino e del Mulino Vecchio). Come documentato dal Catasto toscano la via antica attraversava il Bidente delle Celle laddove si trovano i resti del Ponte di Fiordilino (poetica denominazione ripresa dal nome del sopracitato podere) costituiti da una spalla e dall’imposto di un arco limitato a qualche concio inclinato di innesto, che si scorgono a fianco del moderno Ponte del Lago. La saggistica (AA.VV., 1982, p. 188, cit.) documenta una struttura risalente all’ampio periodo tra i secoli XV e XIX con tipologia ad arco (in questo caso non è specificato se a sesto circolare o ribassato - un utile riferimento si può trovare nel progetto del 1556 per il rifacimento ad arco a tutto sesto del vicino Ponte della Balza – cfr. Pro Loco Corniolo-Campigna - a cura di, 2004, p. 168, cit.). Tenendo conto che ancora prima dei danni del cataclisma seicentesco la tipologia era stata ricondotta a quella ormai consueta che prevedeva l’utilizzo di travi lignee e che l’ampiezza della sezione della valle in quel tratto doveva essere ben inferiore all’attuale, quanto resta visibile potrebbe essere la conseguenza di successivi rimaneggiamenti ed ulteriori resti, se sussistenti, che evidentemente dovevano interessare il versante opposto, sono stati necessariamente rimossi a seguito delle varie modifiche della viabilità che nel corso dei secoli hanno interessato la morfologia dell’argine in sx idrografica. Infatti, se nell’Archivio storico dell’antico Comune di Corniolo è documentato il rifacimento delle spalle in pietra del Ponte di Fiordilino ad opera di maestri muratori lombardi (1580-1584), coerente con una costruzione di tale tipologia, pochi anni dopo (1591) risulta un incarico per la sostituzione dell’impalcato con travi in castagno ad opera di Marco da Pellegrino (Pro Loco Corniolo-Campigna - a cura di, 2004, pp. 39, 43, cit.), con palese riferimento alla sussistenza di una struttura lignea. Qualche certezza pare fornirla il seguente resoconto che pare riferirsi al precursore del ponte della nuova strada provinciale (anch’esso ad arco a sesto ribassato in pietra), il Ponte del Lago, ventilando che alla data non esistevano strutture praticabili: «1898. Sorge il problema della disoccupazione anche al Corniolo che ora ha più di mille abitanti. Per alleviare tale disagio, si propone di avviare la costruzione della strada rotabile Corniolo-S. Sofia, la costruzione in pietra del ponte del Lago (si vede ancora una pila di questo) […].» (Pro Loco Corniolo-Campigna - a cura di, 2004, p. 142, cit.).

Tra le righe pare di leggere che la necessità di costruire in pietra il Ponte del Lago fosse dovuta al fatto che della preesistente struttura in legno barrocciabile o carreggiabile, a due o più campate (considerata l’ampiezza della luce), ormai rimaneva solo una delle pile centrali (non è verbalizzato 'la pila' ma 'una pila') e l’antico Ponte di Fiordilino, che sorgeva accanto più robusto in quanto in pietra ed arcuato, era ormai troppo stretto rispetto alle necessità dell’impellente modernità, salvo considerare che all'epoca ormai non esistesse possibilità di attraversare il fiume se non a guado.  

In effetti, poiché la disomogeneità di scala delle mappe storiche rende impossibile apprezzare minime variazioni planimetriche, non è possibile assicurare la corrispondenza tra il simbolo grafico della “pedanca” che compare in corrispondenza della mulattiera nella Carta d’Italia I.G.M. di primo impianto (1894) in scala 1:50.000 con la rappresentazione del Catasto toscano in scala 1:5.000. Rimane pertanto l’incertezza riguardo la datazione dei resti dell’imposto dell’arco sopracitati, che potrebbero essere relativi alla ricostruzione di fine ‘800, se realizzata in sostituzione e sullo stesso sito di quello antico, ma presto danneggiata a causa del terremoto del 1918 e/o abbandonata a seguito della realizzazione della rotabile e del suo nuovo ponte di poco a lato: tuttavia pare poco coerente tale spreco di risorse nell’arco di un paio di decenni tanto da ritenere gli stessi resti cinquecenteschi. A Lago coesistono comunque due strutture affiancate che attraversano il Bidente delle Celle poco prima del suo sbocco nel Bidente di Campigna: i resti del Ponte di Fiordilino in corrispondenza del tracciato antico diretto a Corniolino e il Ponte del Lago che, nella Carta d’Italia I.G.M. del 1937, compare il simbolo grafico del “ponte in muratura” a servizio del tratto della provinciale in corso di realizzazione ed ancora oggi in uso. Oltre il ponte antico la Via Romagnola, come accennato, si inerpicava subito sull’erta rocciosa, in allineamento allo stesso, verso l’abitato di Corniolino, raggiungendolo presso la Chiesa/Hospitale di S. Maria delle Farnie ed il Castellaccio, per poi proseguire sul crinale sfruttando le gradonate di estesi affioramenti rocciosi, dove sono evidenti le tipiche alternanze di arenarie e marne formanti cornicioni sporgenti fratturati a “denti di sega”. 

Un itinerario tra mezzacosta e fondovalle rappresentato dal Catasto toscano che doveva essere ritenuto di rilievo per i collegamenti, tanto da essere l’unico riportato nella citata e schematica Carta della Romagna Toscana Pontificia insieme alla descritta viabilità di crinale e alla via che lo raggiugeva risalendo nella Valle di Lavacchio, seguiva inoltre l’intero corso del Bidente. Attraversava tra l’altro le Ripe Toscane, classificate Geosito di rilevanza locale per affioramento molto esteso del Membro di Premilcuore della Formazione Marnoso Arenacea, di notevole valenza divulgativa in quanto attraversato da sentiero CAI, mentre alla base delle Ripe è ben esposto lo strato Contessa e si succedono per circa 1 km pronunciati meandri incassati lungo l'alveo fluviale, dovuti ad interessanti morfologie di erosione. Le stratificazioni rocciose ancora oggi si mostrano funzionali alla percorrenza anche a seguito della “modernizzazione” del tracciato, che si voleva rendere interamente barrocciabile secondo un progetto del 1906 ma iniziato nel 1910 che, mai completato, consistette sostanzialmente nell’esecuzione del tratto Costacci-Fonte di Fossacupa-Filettino di sopra, al fine di evitare l’infossamento che scendeva a Filettino di sotto. All’imbocco della valle questo percorso ha subito il pesante inserimento degli interventi collaterali alla realizzazione dell’invaso di Ridràcoli, tra cui le opere di captazione e adduzione idraulica, tramite la sopracitata gronda sotterranea, e di sbancamento relative all’ampia strada di servizio, al fine di mantenerla adiacente all’alveo fluviale. 

Dal confronto con il Catasto toscano questo itinerario antico attraversava il Fosso di Verghereto proveniente da Corniolo un centinaio di metri più a valle di quello odierno, secondo la Carta d’Italia I.G.M. (1894-1937) con il Ponte della Balza in muratura, documentato dalla bella riproduzione del progetto del 1556 in pietra e ad arco circolare a tutto sesto (conservata all’Archivio di Stato di Firenze); seguiva quindiil tracciato della provinciale fino al sito dove sorgerà Lago, inoltrandosi poi per circa 90 m in sx del Bidente delle Celle; si può trovare corrispondenza tra la traccia antica nel tratto della rotabile di servizio fino al bivio della strada privata che risale sul versante, da seguire fino al primo tornante. Da qui si perde la traccia che proseguiva avvicinandosi al fondovalle al fine di superare un ripido versante in erosione (ma senza raggiungere il livello della rotabile di servizio), poi andando ad attraversare il Fosso della Fontaccia circa 50 m più a monte del ponte moderno, forse a guado ma, a seguito dell’ammodernamento stradale del 1910, con un ponte interamente in legno documentato da una foto degli scorsi anni ’80, il Ponte sul Fosso della Fontaccia (scomparso in quanto sostituito da un grosso e paesaggisticamente improprio intubamento metallico del fosso), mentre da un precedente bivio si staccava il collegamento con il Ponte di Fiordilino. Oltre al ponte anche il tratto viario antico è oggi scomparso ma, risalendo ai ruderi del vicino fabbricato noto nel luogo come Casina, si ritrovano i resti della mulattiera e/o barrocciabile, che potrebbero corrispondere alle migliorie di inizio Novecento. Peraltro, la mulattiera rappresentata nella Carta d’Italia I.G.M. del 1937 pare corrispondere sia al tratto di strada di servizio fino al Fosso della Fontaccia sia alla posizione del ponte in legno, compreso il tratto che ancora oltrepassa sul retro il suddetto fabbricato. Proseguendo per 450 m oltre la sbarra, almeno 5-10 m sopra strada si notano correre i resti delle opere di sostegno della via antica, per alcuni tratti ancora percorribile a fatica. Nel punto di avvicinamento dei due tracciati si trova quindi un innesto precario, segnalato anche come sentiero 261 CAI, che consente così di calpestare il vecchio selciato. Percorsi 250 m si transita ai piedi di Capria di Sotto e il Ponte sul Fosso di Lavacchio, costituito da uno (scivoloso) tavolato sostenuto da traversine in ferro in sostituzione di un precedente impalcato interamente ligneo, ha permesso di conservare l’attraversamento della profonda incisione torrentizia. Un migliaio di metri di leggera salita prospicente sul fiume porta alla zona di Filettino, toponimo (ritenuto di importazione bizantina) di un luogo che potrebbe essere ricollegato al periodo della forte contrapposizione bizantino-longobarda, da ritenersi idoneo quale piccolo presidio di controllo del transito. Per attraversare la zona occorrono circa 1,5 km mentre la via si inoltra sul versante rialzandosi quasi di 100 m rispetto all’alveo fluviale al fine di superare la profonda incisione del Fosso delle Fontacce in un sito idoneo al guado presso il quale si trova la sempre attiva Fonte di Fossacupa, rifatta dall’A.R.F. nel 1981. Il successivo Fosso di Roncheto segna il limite oltre il quale la via, modellata sulle stratificazioni arenacee affioranti, entra nelle spettacolari Ripe Toscane, mantenendosi sempre un centinaio di metri più alta rispetto al fiume (ma l’areale geologico si innalza ulteriormente altrettanto), mentre l’uscita dal geosito è segnata dallo scorrimento superficiale derivante dalla Fonte del Bercio (risistemata dall’A.R.F. nel 1980), che contribuisce a mantenere attiva un’area di frana. Dopo 250 m la via attraversa il Fosso dei Fondi, poco sotto caratterizzato da una marmitta dei giganti: Il Ponte sul Fosso dei Fondi, lungo quasi 13 m a due campate con spalle e pila centrale in pietrame, interessante anche quale rara testimonianza di struttura originale in legno, rappresenta un tipico esempio delle tecniche costruttive codificate nel XIX secolo per i ponti barrocciabili, ovvero travi in legno di quercia su muratura in filaretto a gramignuola e impasto di calce e rena, impalcato in tavoloni di quercia con traversoni parabreccia laterali per il contenimento di un regolare strato di ghiaia, il tutto assicurato alle travi da chiodatura con cavicchi di ferro e corredato da ringhiere dette barriere alte 90 cm, costituite da traverse di castagno e colonnetti di quercia assicurati con staffe di ferro.

Ora la via si immerge nella parte più remota della valle dominata dalle cime appenniniche dove si insediarono il villaggio di Pian del Grado e il centro industriale/religioso di Celle giungendovi in sx idrografica dopo aver attraversato il Fosso delle Celle (ramo di origine bidentino), poco prima di dare corso al fiume, tramite il Ponte di Celle, piccola struttura barrocciabile in pietra ad arco a sesto ribassato, di cui non è nota l’epoca, che per l’inserimento nella pendice rocciosa pare non essere sostituente di precedenti strutture lignee. Il ponte si pone all’importante incrocio con l’itinerario trasversale di controcrinale Fiumicello-S.Paolo in Alpe e qui, a Celle, termina la parte percorribile di fondovalle. Traccia abbandonata di una prosecuzione verso Pian del Grado si trova percorrendo (con difficoltà) lo stradello che si diparte a ridosso dei ruderi della chiesa di Celle, raggiunge il cimitero e prosegue per un centinaio di metri fino ai pressi della moderna carrabile, ipotizzando una possibile prosecuzione sullo stesso versante o semplicemente un più rapido collegamento tra villaggio e cimitero.

Oggi il transito da Celle è permesso da una passerella pedonale interamente lignea, documentata dal simbolo della pedanca nella Carta d’Italia I.G.M. del 1937. Foto d’epoca mostrano un Ponte delle Celle che anche in passato pare presentasse le medesime caratteristiche tecniche. In base al Catasto toscano una mulattiera discendeva da Colla Tre Faggi dividendosi nel ramo diretto a Celle e in un ramo diretto al probabile guado del Fosso di Pian del Grado, in modo da consentire il collegamento barrocciabile con l’opposto versante sfruttando l’alveo piatto del fosso ma anche per raggiungere il sito industriale dell’Opificio a forza idraulica costituito prima dal (ribattezzato) Molino di Sopra poi anche dal Molino delle Celle. Il tracciato passava a ridosso del fabbricato del Molino di Sopra (come ancora oggi si può notare) interponendosi e sovrapassando rispetto al berignale o gora di alimentazione del bottaccio (il prelievo idraulico avveniva subito dopo la confluenza del Fosso dell’Ortaccio), aspetto che pare confermato nella mappa I.G.M. di fine secolo. Nella Carta d’Italia I.G.M. del 1937 la situazione pare invece simile a quella odierna, con due fabbricati esistenti sul luogo del mulino, però in assenza del simbolo dell’opificio, e con la via che passa sul luogo della gora, andando ad attraversare i fossi più in prossimità della loro confluenza, ma sempre a guado (peraltro agevole in caso di scarsa portata idraulica per la morfologia piatta dell’alveo oggi interrotta da briglie costituite da gabbionate lignee); le uniche strutture rappresentate in mappa sono infatti le due pedanche di Celle. Per impedire l’altrimenti inevitabile abbandono della valle, in parte in sostituzione dell’antica mulattiera che collegava con Campigna S.Paolo in Alpe tramite il valico di Colla Tre Faggi, a metà del Novecento è stata realizzata la Pista di servizio S.P.4 del Bidente-Poderone-Pian del Grado. L’attraversamento del fosso con il Ponte sul Fosso di Pian del Grado: costituito da una robusta struttura lignea di plurime travi affiancate su parimenti robuste spalle in pietra di grosso taglio e datato 1997 (PONTE DI 2A CATEGORIA – DM 04 MAGGIO 1990), pare un rifacimento di una struttura lignea ad una campata, forse risalente all’epoca dell’ammodernamento stradale, documentata negli Anni ’80 allo stato di rudere (AA.VV., 1982, p. 195, cit.).  

Tra le valli laterali del Bidente delle Celle, come sopra specificato, solo la valle del Fosso di Lavacchio era interessata da una via che pareva di rilievo nel XIX secolo in quanto unica riportata nella schematica Carta della Romagna Toscana Pontificia insieme alla descritta viabilità di crinale transitante dagli insediamenti di Capria di SopraCampo di fiori, poi di Fuori e inoltre i vari poderi di Lavacchio. Essa praticamente faceva capo alla viabilità proveniente da Corniolo tramite la Valle del Fosso della Fontaccia, sia toccando la scomparsa Chiesa di S. Giovanni in Certino, poi riclassificata Strada vicinale S.Giovanni-Lavacchio, sia raggiungendo gli insediamenti più alti (Strada vicinale S.Giovanni-Cà Orso). Inoltre, in base al Catasto toscano diversi itinerari trasversali penetravano nelle valli laterali per valicare il crinale e raggiungere la valle del Fiumicello e quindi del Rabbi. Alcuni di essi, come l’accennato l’itinerario trasversale di controcrinale Fiumicello-S.Paolo in Alpe, facevano capo a Celle e a La Fossa, importante insediamento di transito (documentato nella Descriptio Romandiole del 1371 come Villa Alefosse) da cui si diramava una ramificazione di vie. Raggiungere il crinale a Poggio Bini transitando da Fossa Forni, poi Casa Torni nella valle del Fosso delle Celle, era utile per dirigersi verso lo Spartiacque Appenninico e la Toscana. La via che transitava da Foscolo entrando nella valle del Fosso del Foscolo consentiva di valicare diretti a Camporomagnolo e oltre. Da Foscolo, tramite La Traversa e la valle del Fosso dei Fondi, si valicava presso le pendici di Monte Ritoio diretti a Pian di Mezzano e Fiumicello. Un’altra via da La Fossa si fermava a Fondi, ma da qui era ormai facile raggiungere Acquaviva e il Monte Ritoio. Sul margine delle Ripe Toscane un ripidissimo itinerario risaliva sui crinali del Monte Cavallo avvicinandosi a Casa SabelliAcquaviva e il Monte Ritoio, con una deviazione trasversale che transitava dalle varie Case di Monte Cavallo attraversando la valle del Fosso delle Fontacce e si collegava con la valle del Fosso di Lavacchio. Probabilmente solo con la bonifica montana venne agevolato il collegamento con Fondi realizzando una bretella che risaliva il fosso, scavata sul versante del Monte Cavallo ed innestata sul principio della ripida mulattiera che risaliva sul monte.  Il Molino del Fornello, probabile tentativo imprenditoriale ottocentesco di breve durata e di incerta collocazione, appariva solitario in prossimità dello sbocco del Fosso dei Fondi, ma la Via di Partinico tramite il guado sul Bidente lo collegava rapidamente e ripidamente con il podere di Partinico, cui era probabilmente funzionale, e con gli adiacenti poderi dell’area delle Mandriacce, oltre che con la viabilità trasversale sopracitata, ovvero l’antica Via delle Celle, tra Colla Tre Faggi e Celle.

La parte più remota della valle a ridosso delle cime appenniniche anticamente ospitò insediamenti di nuclei arcaici di origine ligure e venne sicuramente percorsa anche dai Bizantini di Ravenna, contribuendo anche con alcuni lasciti toponomastici come attesterebbero gli insediamenti di Filettino, mentre la posizione più esposta e soleggiata di Pian del Grado favorì l'insediamento dei funzionari detti Operai e delle guardie dell’Opera del Duomo di Firenze addetti a quella parte importante della foresta ricompresa all’incirca tra il villaggio e Poggio della Serra, che poi venne chiamata “selva di Castagno”. Peraltro, la sua collocazione consentiva di limitare i costi di smacchio e trasporto il quale, se il legname veniva tagliato nella area fino a CelleMonte CorsoioPian delle Fontanelle, anziché verso il Porto di Pratovecchio valicando ai prati di Sodo dei Conti, avveniva verso quelli di Dicomano o di Moscia sulla Sieve, scavalcando il crinale o al Passo Piancancelli o sulle pendici settentrionali della Costa Poggio Corsoio (presso il Riparo degli Alpini), collegandosi con la Strada di Romagna

Il versante della Valle della Fontaccia, orientata a Libeccio, per le caratteristiche ambientali era invece particolarmente vocato al pascolo brado, pertanto, vide lo sviluppo di attività di allevamento probabilmente ormai abbandonate, per cui oggi parte del territorio si trova in fase di ricolonizzazione arbustiva tranne le aree di pertinenza dei fabbricati abitati.

Le identificazioni toponomastiche e grafiche della cartografia antica e moderna (Catasto toscanoCarta d’Italia I.G.M., N.C.T. Nuovo Catasto Terreni, C.T.R. Carta Tecnica Regionale) riguardanti i fabbricati della valle del Fosso della Fontaccia si possono schematizzare come di seguito elencato: 

Casa Armai nel Catasto toscano, o anonimo nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 - 1937) e in quella moderna, o Ca’ d’Armati nel N.C.T. e nella C.T.R.;

Cas’Orso nel Catasto toscano, o l’Orso nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894), o Ca dell’Orso nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1937) e in quella moderna, o Ca’ D’Orso nel N.C.T. e nella C.T.R.;

Casabelleta nel Catasto toscano, o anonimo nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 - 1937) e in quella moderna, o Ca’ di Belletta nel N.C.T. e nella C.T.R.;

Giovanni nel Catasto toscano, o C.S.Giovanni nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 - 1937), o C. S. Giovanni in quella moderna, o S. Giovanni nel N.C.T. e nella C.T.R.;

Chiesa di S. Giovanni in Certino: anonimo nel Catasto toscano, o assente nella restante cartografia storica e moderna;

Ciortino: anonimo nel Catasto toscano, o assente nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894), o anonimo nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1937), o anonimo con simbolo (erroneo) di baracca in quella moderna, o Ciortino nel N.C.T. e nella C.T.R.;

Capo la Villa nel Catasto toscano, o anonimo nella restante cartografia storica e moderna;

Pian dell’Olmo nel Catasto toscano, o Pian dell’Olmo nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 - 1937) e in quella moderna, o Pian dell’Olmo nel N.C.T. e nella C.T.R.

La Casina: anonimo nel Catasto toscano e nella restante cartografia storica e moderna.

L’area collinare della Valle della Fontaccia, dalle modeste pendenze dei seminativi e prati-pascoli, oltre che soggetta a fenomeni geomorfologici da scivolamento di detrito di versante, in prossimità del suo margine meridionale, laddove il declivio diviene repentinamente ripido ed impervio, a tratti strapiombando fino al fondovalle in argine al Bidente delle Celle, è stato pesantemente alterato nella sua stratificazione storico-insediativa dai tornanti della rotabile privata (probabilmente risalente all'epoca della bonifica montana di metà del secolo scorso) oltre che dall’attività agricola, per cui sono scomparsi i tracciati viari antichi che qui si incrociavano, provenendo a raggiera da 5 diverse direzioni, ed è soprattutto scomparsa ogni traccia della Chiesa di S. Giovanni in Certino o di Certino, parrocchiale del castello di Corniolo posta all’estremità del territorio abbaziale di S. Ellero, documentata dal 1378: «Il 3 ottobre 1378 donna Riguzia del fu Neri, del popolo di S. Giovanni di Certino vende una casa posta nel borgo del Corniolo e un podere posto nella corte del Corniolo stesso, nel luogo detto Campomaggio, per 8 fiorini d'oro. Il castello e il borgo del Corniolo sono ricordati in un atto di vendita di donna Riguzia del popolo di Certino stipulato il 3 ottobre 1378 (Spoglio delle cartapecore di Camaldoli, v. III). A Certino o Cerretino, c'era una chiesa dedicata a S. Giovanni Battista, che fu parrocchiale. Soppressa la parrocchia fu creato nella chiesa del Corniolo un benefizio semplice col titolo di S. Giovanni Battista, di patronato della famiglia Perini di Certino.» (D. Mambrini, 1935 – XIII, pp. 268- 270). 

Agnoletti nel suo Viaggio (1996, pp. 118-119, cit.) ricorda che apparteneva alla pievania di S.Pietro di Corniolo alla quale nei primi secoli competevano manutenzione ed oneri. Fu soggetta alla prima visita pastorale nel 1573 poi nel 1625, quando risulta dotata di un dipinto di S.Giovanni Battista, da restaurare, e nel 1704, nella circostanza della soppressione della parrocchia e dell’istituzione di un beneficio perpetuo di patronato della famiglia Perini, con determinazione dei vari oneri a valersi sui frutti del beneficio, nell’evenienza di tale visita consistenti in riparazioni all'intonaco interno e imbiancatura. Nell’anno seguente viene precisata la dotazione di un solo altare e, tra i vari oneri, la distribuzione di elemosine ai poveri della Villa di Certino. In questa occasione risulta l’esistenza di sepolture esterne ed interne alla chiesa per le quali viene prescritta la perimetrazione dell’area cimiteriale, dove venivano inumati i defunti della zona, con un muro e la cessione del sepolcro interno, da chiudere con una lastra di marmo, alla Confraternita della chiesa del Corniolo. L’insediamento di Certino doveva essere di un certo rilievo in considerazione che, come sopra detto, era documentato nella sopracitata CARTA GEOGRAFICA DELLA DIOCESI DI S. ILLARO del 1754-59. La chiesa viene trovata ben tenuta per tutta la prima metà del secolo fino al 1765, quando risultano danni al tetto e alla pavimentazione dell’ingresso, oltre che mancante della fune della campana, segnali di un inizio di abbandono, che si concretizza con il terremoto del 1768, con perdita del patronato Perini e restituzione di benefici ed oneri alla pievania di Corniolo. Tuttavia, con la visita del 1776 venne ordinata la sua ricostruzione a spese del popolo beneficiato e del pievano, ma la soppressione dell'Abbazia di S.Ellero del 1785 determinò l’attribuzione di tutte le chiese dalla Val Bidente alla diocesi di S.Sepolcro e nel 1806 la soppressione e conseguente abbandono della chiesa. Il Giornale di Campagna del Catasto toscano in data 1826 infatti riporta la descrizione di un fabbricato diroccato già oratorio di proprietà della Pievania di Corniolo, dove ancora viveva il cappellano della Pieve godendo dei proventi dei terreni annessi ancora per qualche tempo. In mancanza di diverse indicazioni è ipotizzabile individuare la chiesa nel fabbricato rettangolare rappresentato nel catasto in corrispondenza del sopracitato snodo viario, in considerazione sia di tale strategica collocazione sia della precisa aderenza del suo lato corto sulla via, evidentemente corrispondente alla facciata principale. Nel corso di quel secolo o l’inizio del seguente gli aspetti locali sopra specificati devono aver provocato la definitiva scomparsa del fabbricato, che infatti non verrà più rappresentato nella cartografia. Il P.R.G. del 1985 del Comune di S. Sofia rilevava ancora la presenza di un mucchio di pietre e che a seguito di lavori agricoli erano stati rinvenuti resti di scheletri umani, evidentemente provenienti dal cimitero documentato nel 1705.

Probabilmente rientrava tra i benefici della Chiesa di S. Giovanni in Certino l’insediamento colonico posto in sua prossimità e da cui trae origine il toponimo de-sacralizzato Giovanni inizialmente attribuito dal catasto, in seguito declinato C. S.Giovanni che, specie con l’attività agricola svolta nel corso del XIX secolo, ha sicuramente contribuito alla scomparsa delle ultime tracce antiche circostanti.

Per approfondimenti ambientali e storici si rimanda alle schede toponomastiche relative ad acque, rilievi e insediamenti citati. 

N.B.: - La Descriptio Provinciae Romandiolae è un rapporto geografico-statistico-censuario redatto dal legato pontificio cardinale Anglic de Grimoard (fratello di Urbano V) per l’area della Romandiola durante il periodo della “Cattività avignonese” (trasferimento del papato da Roma ad Avignone, 1305-1377). Se la descrizione dei luoghi ivi contenuta è approssimativa dal punto di vista geografico, è invece minuziosa riguardo i tributi cui era soggetta la popolazione. In tale documento si trova, tra l’altro, la classificazione degli insediamenti in ordine di importanza, tra cui i castra e le villae, distinti soprattutto in base alla presenza o meno di opere difensive, che vengono presi in considerazione solo se presenti i focularia, ovvero soggetti con capacità contributiva (di solito nuclei familiari non definiti per numero di componenti; ad aliquota fissa, il tributo della fumantaria era indipendente dal reddito e dai possedimenti). In particolare, nelle vallate del Montone, del Rabbi e del Bidente furono costituiti i Vicariati rurali delle Fiumane.

- La visita pastorale apostolica è effettuata dal vescovo o suo rappresentante nella propria diocesi ed era una prassi della Chiesa antica e medievale riportata in auge dal Concilio di Trento (1545-1563) che ne stabilì la cadenza annuale o biennale, tuttavia raramente rispettata. La definizione di “apostolica” può essere impropria in quanto non attinente agli Apostoli e al loro insegnamento ma essenzialmente da riferire alla peculiarità di sede papale della diocesi di Roma alla cui organizzazione era predisposta una specifica Congregazione della visita apostolica. Oggetto delle visite pastorali sono i luoghi sacri, i beni ecclesiastici: oggetti e arredi destinati al culto (vasi, arredi, reliquie, altari), il clero, il popolo cristiano e le confraternite, anche con scopo di ispezione e di riscontro di eventuali abusi. Avvenivano secondo specifiche modalità di preparazione e svolgimento che prevedevano anche la partecipazione della popolazione. I verbali sono conservati negli archivi diocesani; da essi derivano documentate informazioni spesso fondamentali per conoscere l’esistenza nell’antichità degli edifici sacri, per assegnare una datazione certa alle diverse fasi delle loro strutture oltre che per averne una descrizione a volte piuttosto accurata.

- Dopo la confisca del vasto feudo forestale da parte della Repubblica di Firenze a danno dei conti Guidi, l’alpe del Corniolo, la selva del Castagno e la selva di Casentino ovvero di Romagna che si chiama la selva di Strabatenzoli e Radiracoli tra il 1380 e il 1442 furono donate (il termine contenuto in atti è “assegnato in perpetuo”; A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 15-16, cit.) all’Opera del Duomo di Firenze in Romagna che, per oltre quattro secoli si riservò il prelievo del legname da costruzione e per le forniture degli arsenali di Pisa e Livorno, di quelli della Francia meridionale oltre che per l’ordine dei Cavalieri di Malta. Dopo la presa in possesso l’Opera aveva costatato che sia nei vari appezzamenti di terra lavorativa distribuiti in vari luoghi e dati in affitto o enfiteusi sia altrove si manifestavano numerosi disboscamenti (roncamenti) non autorizzati. Desiderando evitare nuovi insediamenti, dalla fine del 1510 intervenne decidendo di congelare e confinare gli interventi fatti, stabilendo di espropriare e incorporare ogni opera e costruzione eseguita e concedere solo affitti quinquennali. I nuovi confinamenti vennero raccolti nel “Libro dei livelli e regognizioni livellarie in effetti” che, dal 1545 al 1626 così costituisce l’elenco più completo ed antico disponibile. Altri elenchi e documenti utili si sono susseguiti nei secoli seguenti, fino ai contratti enfiteutici del 1818 e del 1840 con il Monastero di Camaldoli, contenenti una precisa descrizione dei confini e delle proprietà dell’Opera.

- Le “vie dei legni” indicano i percorsi in cui il legname, tagliato nella foresta, tronchi interi o pezzato, dal XV° al XIX° secolo veniva condotto prima per terra tramite traini di plurime pariglie di buoi o di cavalli, a valicare i crinali appenninici fino ai porti di Pratovecchio e Poppi sull’Arno, quindi fluitato per acqua, a Firenze e fino ai porti di Pisa e Livorno. Per approfondimenti, v. M. Ducci, G. Maggi, B. Roba, 2024, cit.

- La pedanca pedancola è una passerella in legno posta ad attraversare un corso d’acqua. L’adozione del termine da parte dell’Istituto Geografico Militare (I.G.M) per indicare il simbolo tecnico cartografico (⤚⤙), corrispondente ai ponti pedonali, è dovuta alla coincidenza tra il luogo di fondazione dell’Istituto, avvenuta a Torino nel 1861, e la consuetudine di tale regionalismo poggiato sul dialetto piemontese. L’etimologia riconduce all’incrocio di due voci del tardo latino, pedanĕa, da pespedis (piede) e planca (asse, tavola). Con il significato di passerella esistono anche il regionalismo piemontese pedàncola, derivato dalla radice lessicale pedanca e l’italiano palancola derivato dalla radice lessicale latina palanca, dal greco phálagga, con il significato di trave lunga e robusta, entrambi formati per mezzo del suffisso -ol-. 

- In base alle note tecniche dell’I.G.M. se in luogo dell’anteposta l’abbreviazione “C.”, che presumibilmente compare quando si è manifestata l’esigenza di precisare la funzione abitativa, viene preferito il troncamento “Ca” deve essere scritto senza accento: se ne deduce che se compare con l’accento - o preferibilmente con l’apostrofo (Ca’) volendo utilizzare l’antica l'apòcope o troncamento - significa che è entrato nella consuetudine quindi nella formazione integrale del toponimo: «E reducemi a ca per questo calle (Dante); anche per indicare le casate nobili: madonna Lisetta da ca’ Quirino (Boccaccio). Rimane vivo e d’uso comune in denominazioni di palazzi storici soprattutto a Venezia (Ca’ d’oro, ca’ Foscari, ca’ Rezzonico, ecc.) e in alcuni toponimi dell’Italia settentr. e centr.» (https://www.treccani.it/vocabolario/ca). Inoltre, le pratiche scritturali manuali della cartografia storica di minimizzazione della copertura della mappa con la toponomastica prevedevano che tra l’abbreviazione “C”, l’interpunzione e la parola seguente non vi fossero interspazi, aspetto superato dalle meno ingombranti tecniche grafiche moderne, fino agli automatismi dell’odierna cartografia digitale. 

RIFERIMENTI    

AA. VV., Dentro il territorio. Atlante delle vallate forlivesi, C.C.I.A.A. Forlì, 1989;

AA. VV., Il Casentino, Octavo Franco Cantini Editore, Comunità Montana del Casentino, Firenze-Ponte a Poppi 1995;

AA. VV., Il luogo e la continuità. I percorsi, i nuclei, le case sparse nella Vallata del Bidente, Catalogo della mostra, C.C.I.A.A. Forlì, Amm. Prov. Forlì, E.P.T. Forlì, Forlì 1984;

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G. Caselli, Il Casentino da Ama a Zenna, Accademia dell’Iris - Barbès Editore, Firenze 2009;

G.L. Corradi (a cura di), Il Parco del Crinale tra Romagna e Toscana, Alinari, Firenze 1992;

M. Ducci, G. Maggi, B. Roba, “Le vive travi” e i loro cammini nel Parco e nella storia, Monti editore, Cesena 2024;

A. Fatucchi, Aspetti dell’invasione longobarda del territorio aretino, Stab. Tip. Palmini & C., Arezzo 1975;

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M. Gasperi, Boschi e vallate dell’Appennino Romagnolo, Il Ponte Vecchio, Cesena 2006;

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D. Mambrini, Galeata nella storia e nell’arte, Tipografia Stefano Vestrucci e figlio, Bagno di Romagna 1935 - XIII;

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Pro Loco Corniolo-Campigna (a cura di), Corniolo, storia di una comunità, Grafiche Marzocchi Editrice, Forlì 2004;

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Regione Toscana – Progetto CASTORE – CAtasti STOrici REgionali;

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Bozze di mappe catastali della Foresta Casentinese e Campigna

URL http://www502.regione.toscana.it/searcherlite/cartografia_storica_regionale_scheda_dettaglio.jsp?imgid=11644;

URL www.mokagis.it/html/applicazioni_mappe.asp.

Percorso/distanze :

Testo di Bruno Roba - Dalla S.P. 4 del Bidente, giunti a Lago, prima del ponte si imbocca la rotabile che risale il Bidente delle Celle. Dopo meno di 100 m si trova un bivio con una rotabile (privata e chiusa da una sbarra) che risale sulla dx solo in parte ricalcante antichi tracciati viari collegando i vari poderi raggiungendo per prima C. S.Giovanni, + 700 m. Proseguendo la salita tra tornanti verso E la pista termina a Capo alla Villa, + 500 m. Si inverte la direzione sula pista verso NO e si trova subito Ciortino, + 90 m poi Ca’ d’Armati, + 110 m. Qui da un bivio si imbocca una pista che transita davanti ad un capannone agricolo e dopo due tornanti si dirige rettilinea e senza incertezze in costante risalita verso Pian dell’Olmo per 1 km, perdendo per l’abbandono e l’erosione i caratteri di pista e riacquistando quelli di mulattiera. Da Ca’ d’Armati la pista prosegue in piano fino a Ca’ d’Orso, + 300 m, quindi la mulattiera corrispondente alla via antica arriva a Ca’ di Belletta, + 300 m. A La Casina conviene arrivare dalla rotabile di fondovalle lasciandola a circa 500 m da Lago, appena oltrepassato lo sbocco del Fosso della Fontaccia, dove oltre un’eventuale recinzione con passo si risale nel podere abbandonato, + 50 m.

foto/descrizione :

Le foto sono state scattate da Bruno Roba, che ha anche inserito i testi, e qui riprodotte su autorizzazione dell'autore.

00a1/00a4 – Da Poggio Scali, panoramica dello sviluppo del contrafforte principale e vedute ravvicinate della gran parte della valle del Fosso della Fontaccia, racchiusa tra la biforcazione delle due dorsali che si staccano dal Monte dell’Avòrgnolo (5/02/11 – 16/08/16).

00b1/00b7 – Dal crinale tra Poggio Squilla e Poggio Aguzzo, vedute della valle della Fontaccia, ravvicinate verso il sito della scomparsa Chiesa di S.Giovanni in Certino (25/04/18).

00c1/00c6 - Dal Sentiero degli Alpini tra il passo della Braccina e il Monte dell’Avòrgnolo, vedute della Valle della Fontaccia dalla sua testata con particolare dell’area prativa degli insediamenti e indice fotografico (26/11/16).

00d1/00d5 – Dalla dorsale di M. Cavallo che delimita la valle del Fosso di Lavacchio, panoramica e viste ravvicinate sulla valle della Fontaccia e C. S.Giovanni (12/12/16).

00e1/00e4 – Dal poggio del Castellaccio del Corniolino, scorcio dei prati-pascoli dove si notano allineati Ca’ d’Armati, Ciortino e Capo la Villa mentre il sito di S.Giovanni è seminascosto in basso (13/12/16).

00f1 – Schema da cartografia moderna del bacino idrografico della Valle del Fosso della Fontaccia; il puntinato indica la viabilità storica.

00f2 - 00f3 - 00f4 - Schema di mappa da cartografia di inizio XIX secolo, con evidenziati gli assetti insediativi, idrografici ed infrastrutturali della valle del Bidente delle Celle e suoi affluenti, con particolare dell’area della Fontaccia, dove si possono notare i tracciati della viabilità antica e confronto schematico tra cartografia antica e moderna da cui si rilevano le modifiche planimetriche e alla viabilità intercorse nel periodo frapposto. La toponomastica riprende quella originale.

00f5 - Schema cartografico da mappa del XIX sec. che, nella sua essenzialità, riguardo la viabilità principale evidenziava esclusivamente i tracciati viari che da S.Sofia raggiungevano lo Spartiacque Appenninico, mantenendosi prossimi al fondovalle fino a Corniolo, poi risalendo sui crinali, nella valle giungendo fino a poco oltre Celle ma non a Pian del Grado.

00f6 - Particolare dell’antica CARTA GEOGRAFICA DELLA DIOCESI DI S. ILLARO, allegata come tav. f.t. Carta del territorio dell’abbazia di S.Ellero (sec. XVIII) a E. Agnoletti, 1974, cit., che, nella sua approssimazione geografica e orientamento ribaltato verso S tipico delle mappe antiche, segnala il sito di Certino, accompagnato da una croce.

00f7 - Mappa schematica dedotta da cartografia storica di inizio XX sec. evidenziante reticolo viario e idrografico precedente al completamento della viabilità provinciale.

00g1/00g6 – Dalla mulattiera che taglia il basso versante dell’Avòrgnolo diretta verso Lavacchio panoramica e scorci dell’area prativa della valle, ravvicinati sul sito di S.Giovanni (8/12/16 - 10/12/16).

00h1 - 00h2 - 00h3 – Vedute del sito dove sorgeva S. Giovanni in Certino presso C. S.Giovanni (8/12/16 - 10/12/16).

Innocent